2015

Nel caso di specie, l’ente previdenziale, in sede di liquidazione del trattamento pensionistico definitivo, aveva appurato che vi era stata un’errata corresponsione di somme in favore di una pensionata. La Corte dei conti, accogliendo il ricorso proposto dall’interessata, ha affermato l’irripetibilità dell’indebito pensionistico derivante dal conguaglio tra trattamento provvisorio e definitivo.
Studio Legale Avv. Vito Sola
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Sentenza n. 854/2014/A
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
= ° =
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta dai seguenti magistrati:
Dott. Piera MAGGI Presidente
Dott. Nicola LEONE Consigliere
Dott. Mauro OREFICE Consigliere
Dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere relatore
Dott.ssa Giuseppa MANEGGIO Consigliere
Ha pronunziato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso iscritto al n. 43871 del registro di segreteria, proposto dall’INPDAP, rappresentato e difeso dall’avv. Edoardo Urso e con quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria n. 29,
avverso
la sentenza 21.3.2012, n. 200 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Lombardia e nei confronti della sig.ra O.P, rappresentata e difesa dall’avv. Romeo Brunetti ed elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo in Roma, via G. Armellini n. 30.
Visti gli atti e documenti della causa;
Uditi, nella pubblica udienza del giorno 27 maggio 2014, il consigliere relatore dr. Piergiorgio Della Ventura, l’avv. Flavia Incletolli, su delega dell’avv. Edoardo Urso per l’INPS/INPDAP appellante e l’avv. Vito Sola, su delega dell’avv. Romeo Brunetti rappresentanza di parte resistente.
F A T T O
Con la sentenza in epigrafe la Sezione territoriale, in accoglimento del ricorso proposto dall’interessata, affermava l’irripetibilità di un indebito pensionistico derivante dal conguaglio tra trattamento provvisorio e definitivo e la necessità di restituzione, alla pensionata, delle somme già trattenute medio tempore.
Più in particolare, l’Istituto previdenziale, in sede di liquidazione del trattamento definitivo, aveva accertato l’erronea corresponsione all’interessata in via provvisoria, dal 5.5.1983 al 30.4.2011, di importi maggiori di quanto spettante, per un totale di € 9.746,65; di tali somme aveva disposto il recupero, successivamente dichiarato illegittimo dalla sentenza di prime cure.
Avverso tale sentenza l’INPDAP ha proposto appello, deducendo violazione degli artt. 162 e 206 del D.P.R. n. 1092/1973 e, più in generale, l’inesistenza di alcun principio generale di irripetibilità dell’indebito pensionistico per presunta buona fede del percettore, poiché nella specie si era in presenza di un trattamento provvisorio. In materia, sopra tutto dopo la privatizzazione del rapporto d’impiego pubblico, dovrebbero infatti applicarsi, sostiene l’amministrazione, i principi civilistici, e in particolare l’art. 2033 c.c. sull’indebito oggettivo; è richiamata, in proposito, la giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Cassazione in materia.
Viene anche sottoposta a critica la posizione assunta dalle SS.RR. con la sentenza n. 7/2007/QM, che – sovvertendo i principi fissati nella precedente sentenza n. 1/1999/QM – ha sostanzialmente collegato l’affermata irripetibilità dell’indebito pensionistico con i principi di trasparenza e certezza dei tempi procedimentali, di cui alla L. n. 241/1990 e succ. mod.; posizione che è stata tuttavia sostanzialmente rivista, ad avviso dell’appellante, con la recente pronunzia n. 2/2012/QM, che ha escluso la precedente automaticità della declaratoria di irripetibilità, per la quale occorre invece esaminare le specifiche situazioni.
E’ stata poi contestata la pronunzia del Giudice territoriale, laddove non ha disposto l’integrazione del contraddittorio, perché fosse dichiarata la responsabilità esclusiva del Ministero dell’istruzione nella presente vicenda, anche ai fini della rivalsa da parte dell’INPDAP.
Si è costituita in giudizio la pensionata, chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della pronunzia impugnata. Nella specie, fa presente che il lasso di tempo trascorso fra collocamento a riposo e determinazione della pensione definitiva è stato talmente lungo, da avere sicuramente generato un concreto affidamento dell’interessato nella correttezza degli importi via via percepiti; richiama, in proposito, varia giurisprudenza tra cui, in particolare, la recente pronunzia delle SS.RR. di questa Corte, n. 2/2012.
Nell’odierna pubblica udienza l’avv. Incletolli si riporta all’atto d’appello e ne chiede l’accogliento, con rinvio degli atti al primo Giudice.
L’avv. Sola richiama la memoria depositata e chiede il rigetto dell’appello proposto dall’INPS.
D I R I T T O
1. La fattispecie in esame concerne la legittimità o meno del recupero effettuato dall’INPDAP nei confronti di una pensionata che per molti anni si è visto corrispondere un trattamento provvisorio di quiescenza in misura eccedente rispetto al dovuto. La successiva adozione del provvedimento definitivo di pensione ha dato luogo – a seguito del conguaglio effettuato – ad un credito erariale per maggiori somme indebitamente percepite dall’interessata.
Ciò posto, in materia di recupero d’indebito derivante dal conguaglio fra trattamento pensionistico provvisorio e definitivo, la giurisprudenza di questa Corte non è stata univoca.
In particolare, numerose decisioni (vedi, fra le tante, Sezione I app., nn. 180/2006; 53/2006; 315/2002; Sezione III app., nn. 418/2006; 340/2006; 149/2006) condividevano l’orientamento espresso dalla sentenza delle Sezioni riunite 1/QM del 14.1.1999 e, nel negare l’irripetibilità, ritenevano che la chiarezza del dettato di cui agli artt. 162 e 206 del T.U. 1092/73 non possa consentire l’irripetibilità del credito.
Si faceva tuttavia strada anche la tesi opposta, secondo cui sarebbe comunque ravvisabile, nel sistema normativo previdenziale, un principio idoneo a legittimare in taluni casi la tutela dell’affidamento, anche in presenza di trattamenti provvisori di pensione. Secondo tale ultima posizione, l’irripetibilità sarebbe collegata ad una situazione di fatto – l’erogazione di un trattamento per un lungo lasso di tempo – che legittimerebbe nel percipiente la convinzione che le somme via via corrispostegli fossero spettanti (cfr, ex multis, Sezione I app., n. 99/2006; Sezione III app., nn. 236/2006; Sez. appello Sicilia, nn. 5/2007 e 172/2006).
2. In tempi più recenti, era tornata sull’argomento la sentenza delle Sezioni riunite 7 agosto 2007, n. 7/QM, la quale, risolvendo il descritto contrasto di giurisprudenza in materia, riteneva che dopo la procedimentalizzazione scandita dalla legge n. 241 del 1990 (che ha introdotto termini precisi per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza) l’irrazionale protrarsi del tempo di definizione della pratica pensionistica, nonché l’assenza di responsabilità del percettore nell’insorgenza dell’errore, siano elementi tali da rendere ingiustificata l’azione di recupero promossa dall’amministrazione, anche nell’ipotesi di variazioni disposte con procedure automatizzate ex art. 9 della legge 7 agosto 1985 n. 428; d.P.R. 26 settembre 1985 e art. 5 del d.P.R. 8 luglio 1986 n. 429.
Si legge in proposito nella su detta sentenza che non può “… considerarsi costituzionalmente orientata la lettura delle norme vigenti nel senso di prevedere, con intuitiva variabilità di comportamenti della pubblica amministrazione e di pronunce giurisdizionali, una delimitazione del potere di procedere al recupero dell’indebito esclusivamente in quei casi (pur rinvenibili in taluni dei giudizi a quibus) abnormi per evidente sproporzione tra ammontare dell’indebito e consistenza del trattamento pensionistico inciso dalla decurtazione, ovvero per irragionevole protrazione del regime di provvisorietà, costituendo tali fattispecie solo il limite estremo della tutelabilità, che deve invece trovare un univoco e certo orientamento per garantire non solo l’affidamento dei privati, ma la stessa funzionalità dell’Amministrazione, anche in punto di individuazione delle priorità operative e degli obiettivi dei controlli interni (cfr. ad es.: art. 3-ter del decreto-legge 12 maggio 1995 n. 163. quale aggiunto dalla legge di conversione 11 luglio 1995 n. 273 cit.; d.lgs. 30 luglio 1999 n. 286, e norme collegate). Per tutto quanto innanzi argomentato, ai quesiti posti con le ordinanze di deferimento de quibus va data dunque congiunta soluzione nel senso di affermare (…omissis…) che, in assenza di dolo dell’interessato, il disposto contenuto nell’art. 162 del d.P.R. n. 1092 del 1973, concernente il recupero dell’indebito formatosi sul trattamento pensionistico provvisorio, deve interpretarsi nell’ambito della disciplina sopravvenuta contenuta nella legge n. 241 del 1990, per cui, a decorrere dall’entrata in vigore di detta legge n. 241 del 1990, decorso il termine posto per l’emanazione del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza, non può più effettuarsi il recupero dell’indebito, per il consolidarsi della situazione esistente, fondato sull’affidamento riposto nell’Amministrazione”.
Tale soluzione veniva tuttavia posta successivamente in discussione da numerosi Giudici di merito, anche di secondo grado (v. le sentenze n. 449/2011, n. 455/2001 e n. 74/2012 di questa Sezione I centrale e n. 149/2011 della Sezione III centrale), sostanzialmente per la sua eccessiva “automaticità” nell’individuazione del limite temporale che impedirebbe in ogni caso la ripetizione di un indebito pensionistico da parte dell’amministrazione previdenziale.
Ciò ha determinato una nuova rimessione della relativa questione di massima alle Sezioni riunite.
Il Collegio della nomofilachia, con sentenza 2.7.2012, n. 2, ha fornito la seguente soluzione ai quesiti proposti: “Lo spirare di termini regolamentari di settore per l’adozione del provvedimento pensionistico definitivo non priva, ex se, l’amministrazione del diritto – dovere di procedere al recupero delle somme indebitamente erogate a titolo provvisorio; sussiste, peraltro, un principio di affidamento del percettore in buona fede dell’indebito che matura e si consolida nel tempo, opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. Tale principio va individuato attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo”.
Le medesime Sezioni riunite hanno altresì affermato, in tema di affidamento caratterizzato dalla buona fede, che tale requisito va individuato in una serie di elementi oggettivi e soggettivi, quali: “a) il decorso del tempo, valutato anche con riferimento agli stessi termini procedimentali, e comunque con riferimento al termine di tre anni ricavabile da norme riguardanti altre fattispecie pensionistiche; b) la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore riferito alla maggior somma erogata sul rateo di pensione (così, ad esempio, non sarà ravvisabile alcun affidamento nella ipotesi in cui il rateo della pensione provvisoria sia addirittura maggiore rispetto al rateo dello stipendio che l’interessato percepiva in servizio); c) le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio e il momento di conoscenza, da parte dell’amministrazione, di ogni altro elemento necessario per la liquidazione del trattamento definitivo, sì che possa escludersi che l’amministrazione fosse già in possesso, ab origine, degli elementi necessari alla determinazione del trattamento pensionistico”.
La sentenza ha poi aggiunto che “l’affidamento si configura e va identificato attraverso una serie di elementi, quali indicati, seppure a titolo esemplificativo e non tassativo ed esaustivo, nel paragrafo precedente, assume particolare rilievo, al riguardo, quanto previsto dall’art. 1, comma 5, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, come sostituito dall’art. 1, comma 1, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, con la conseguenza che, qualora sulla ripetizione dell’indebito penda il giudizio in appello, sarà cura del giudice valutare se il sindacato può ricondursi a profili di diritto, ovvero, nella ipotesi in cui concerne questioni di fatto, rinviare gli atti al primo giudice, non potendo il giudice di appello, ai sensi della suddetta disposizione di legge, conoscere questioni di fatto”.
Insomma, il Collegio nomofilattico ha ribadito la rilevanza, nelle fattispecie riguardanti la materia in esame, del principio di affidamento del percettore in buona fede; principio che matura e si consolida nel tempo ed è opponibile dall’interessato in sede amministrativa e giudiziaria. E’ stato peraltro precisato – in luogo dell’automaticità precedentemente affermata – che l’affidamento in questione va individuato caso per caso, attraverso una serie di elementi quali il decorso del tempo, la rilevabilità in concreto, secondo l’ordinaria diligenza, dell’errore commesso dall’ente liquidatore del trattamento provvisorio, le ragioni che hanno giustificato la modifica del trattamento provvisorio stesso e le modalità di liquidazione (es., quando l’ente previdenziale ebbe a disposizione tutti gli elementi necessari per operare la liquidazione del definitiva).
3. Orbene, dovendosi applicare nel caso di specie i suddetti principi statuiti dalle Sezioni riunite, che hanno fatto chiarezza sulle norme da applicare e sul loro necessario contemperamento con l’affidamento del percipiente in buona fede, ed avendo già il Giudice di primo grado emesso pronuncia sulla sussistenza degli elementi su cui si fondano l’affidamento e la buona fede del percipiente medesimo, e non essendo tali profili sindacabili in questa sede – poiché si tratta di questioni di fatto – l’appello, sul punto, sarebbe comunque, inammissibile e sarebbe ultroneo lo stesso rinvio al primo Giudice, essendo stati tali aspetti già decisi.
Nella presente fattispecie, sempre in base ai principi recati dalla citata sentenza n. 2/2012 delle SS.RR., deve essere affermata l’illegittimità dell’azione di recupero esercitata dall’INPDAP – ferma restando, occorre precisare e ribadire, la legittimità e doverosità della correzione apportata con il provvedimento definitivo – con conseguente obbligo di restituzione, alla parte interessata, degli importi medio tempore recuperati.
4. Anche il capo di appello relativo alla mancata chiamata in giudizio dell’Amministrazione statale è infondato e va respinto.
Questo Collegio condivide, infatti, le motivazioni di cui alla sentenza di primo grado, secondo cui l’INPDAP può essere anche l’unica Amministrazione chiamata in causa, senza che debba ritenersi il litisconsorzio necessario con l’Amministrazione dell’istruzione, ordinatrice principale di spesa.
Costituisce, infatti, diversa controversia – cui il ricorrente è estraneo (vale a dire controversia estranea al petitum ed alla causa petendi introdotti nell’odierno giudizio) – l’eventuale accertamento in merito al riparto tra Enti o Amministrazioni degli oneri finanziari conseguenti all’irripetibilità di un indebito (cfr., in terminis, Corte dei conti, Sezione I app., 13.3.2013, n. 215 e 6.3.2013, n. 183).
Deve escludersi pertanto, nel caso di specie, la necessità di integrazione del contraddittorio richiesto dall’INPDAP, non sussistendo, nel presente giudizio, l’ipotesi del litisconsorzio necessario con l’Amministrazione della difesa, potendo infatti la domanda di rivalsa essere proposta anche in autonomo giudizio.
6. Non è luogo, infine, a provvedere sulle spese di giustizia: v., ex multis, Sezione I app., 1.3.2013, n. 165 e 6.3.2013, n. 187.
Circa le spese legali, reputa il Collegio che, in ragione della natura della controversia e del complesso iter interpretativo che ha caratterizzato la materia, sia equo disporne la compensazione.
P. Q. M.
la Corte dei conti – Sezione I giurisdizionale centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,
RESPINGE
l’appello indicato in epigrafe, con conseguente conferma delle statuizioni di cui all’impugnata pronunzia di primo grado.
Spese legali compensate.
Nulla per le spese di giustizia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2014.
IL RELATORE
(f.to Piergiorgio Della Ventura)
IL PRESIDENTE
(f.to Piera Maggi)
Depositata in Segreteria
il 13 giugno 2014
Il Dirigente
f.to Massimo Biagi
