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Cassazione sezioni unite e contratti a termine della Spa Poste Italiane

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La Corte di Cassazione a sezione unite interviene sulla nota questione della legittimità dei contratti a termine stipulati dalla Spa Poste Italiane, effettuando un completo excursus della normativa entrata via via in vigore e della giurisprudenza formatasi sul punto.

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SENTENZA 11374/14

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RENATO BORDOF                             – Primo Presidente f.f. –

Dott. GIOVANNI AMOROSO                       – Presidente Sezione  –

Dott. VITTORIO RAGONESI                       – Consigliere –

Dott. LINA MATERA                                     – Consigliere –

Dott. PIETRO CURZIO                                  – Rel. Consigliere –

Dott. ANNAMARIA AMBROSIO                – Consigliere –

Dott. CAMILLA DI IASI                               – Consigliere –

Dott. ANTONIO GRECO                              – Consigliere –

Dott. ALBERTO GIUSTI                              – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 17638-2011 proposto da:

XXX elettivamente domiciliata in ROMA, V. PANARO 25, presso lo studio dell’avvocato Francesco Visco, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO DE MICHELE, per delega a margine del ricorso;

  – ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., società con socio unico, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione pro tempore,  elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA,  che la rappresenta e difende, per delega a margine del controricorso

    – controricorrente –

avverso la sentenza n. 5396/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/04/2016 del Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

uditi gli avvocati Vincenzo DE MICHELE e Franco Raimondo BOCCIA per delega orale dell’avvocato Arturo Maresca;

udito il P:m: in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per il rigetto del ricorso

Fatti della causa

  1. XXX chiede la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma, pubblicata il 23 giugno 2010, emessa nella causa proposta nei confronti di Poste Italiane Spa.
  2. Con ricorso al giudice del lavoro del Tribunale di Roma la signora XXX espose di essere stata assunta da Poste Italiane Spa con la qualifica di impiegata e mansioni di addetta CPR senior nella sede di Bari, con un contratto a tempo pieno e determinato dal 23 gennaio 2007 al 31 marzo 2007 e di essere stata nuovamente assunta con un contratto a tempo parziale orizzontale, sempre a tempo determinato, per le medesime mansioni, dal 17 aprile 2007 al 31 maggio 2007.
  3. L’assunzione avvenne sempre “ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis del d. lgs. 368 del 2001 come modificato dalla legge 23 dicembre 2005, n. 266”.
  4. La ricorrente chiese che venisse dichiarata l’illegittimità della apposizione del termine per mancanza di motivazione in ordine alle ragioni della assunzione a tempo determinato, sostenendo che il comma 1 e il comma 1 bis dell’art. 2 avevano introdotto ulteriori oneri per le aziende del settore aereo e poi per il settore delle poste, che si erano aggiunti a quelli generali previsti dalla 1 del d. lgs. 368 del 2001.
  5. Il Tribunale di Roma rigettò il ricorso con sentenza del 15 ottobre 2009, richiamando la decisione della Corte costituzionale n. 214 del 2009, emessa nel corso del processo. La signora XXX propose appello. La Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata il 23 giugno 2010 lo respinse.
  6. Contro tale decisione la signora XXX propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Con il primo denunzia violazione dell’art. 1, commi 1.2 e 3 dell’art. 2, commi 1 e 1 bis del d. lgs. 368/2001, in combinato disposto, per omessa specificazione delle ragioni obiettive temporanee idonee a giustificare l’apposizione del termine al contratto di lavoro sin dal primo rapporto a tempo determinato, nonché conseguente violazione da parte della Corte d’appello delle clausole 1,2,3,5, n. 1, prima parte e n. 2, lett. B, dell’accordo quadro comunitario sulla disciplina del contratto a tempo determinato, recepito nella direttiva 1999/70/CE. La ricorrente ripropone la tesi per la quale il comma 1-bis dell’art. 2, al pari della norma detratta dal primo comma del medesimo articolo, prevede una disciplina aggiuntiva e non autonoma rispetto a quella dell’art. 1 d. lgs. 368/2001.
  7. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 1, commi 1,2 e 3 e dell’art. 2, commi 1 e 1- bis del d. lgs. 368 del 2001, nonché dell’art.2697 c.c. per omessa specificazione ed omessa prova della sussistenza delle ragioni obiettive o della condizione di legittimità di cui all’art. 2, comma 1- bis con riferimento alla clausola di contingentamento, idonee a giustificare l’apposizione del termine, con relative violazioni delle su indicate clausole dell’accordo quadro.
  8. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 1344 c.c. e falsa applicazione dell’art. 5, comma 3, e dell’art. 2, comma 1- bis, d. lgs.368 del 2001, cioè della normativa sui contratti a tempo determinato successivi, alla luce dell’interpretazione della clausola 5, n.2 lett. A) e b) dell’accordo quadro comunitario, nonché omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia, per mancata delibazione della inadeguatezza dell’intervallo di tempo tra due contratti a tempo determinato in guisa tale da configurare l’ipotesi di contratto in frode alla legge o in violazione della normativa interna in materia di contratti successivi, nell’interpretazione adeguatrice alla normativa comunitari.Denunzia inoltre un “error in procedendo” per avere la Corte omesso di pronunciarsi sulla specifica censura in ordine alla successione dei contratti a termine impugnati separati da un lasso di tempo pari a soli 17 giorni.
  9. Poste italiane spa si è difesa con controricorso.
  10. La Sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria, all’esito dell’udienza del 4 giugno 2015 ha rimesso la controversia al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alla Sezioni unite.
  11. Il Primo Presidente ha disposto che la Corte pronunci a Sezioni unite.
  12. Le parti hanno depositato memorie per l’udienza, Nella sua memoria la difesa della ricorrente ha prospettato una serie di possibili contrasti tra la disciplina italiana da applicare al caso in esame e la disciplina europea dettata dalla direttiva che ha recepito l’accordo quadro.

13.La causa è stata discussa dagli avvocati delle parti e dal PG. Il difensore della ricorrente, a fronte della richiesta di rigetto del ricorso formulata dal PG, ha presentato osservazioni per iscritto sulle conclusioni del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 379, ult. Comma, c.p.c.

Ragioni della decisione

  1. Il primo motivo ripropone la tesi del carattere aggiuntivo, e non alternativo, dei requisiti richiesti dall’art. 2, commi 1 e 1-bis, del d. lgs. 368/2001, rispetto a quelli richiesti dal primo comma dell’art. 1; tesi che, come si è detto, è stata ritenuta infondata dai giudici di merito. Il giudizio deve essere condiviso per le seguenti ragioni.
  2. La disciplina dei contratti a tempo determinato ha subito nel corso degli ultimi decenni una molteplicità di modifiche ed interpolazioni. La normativa originaria risale alla legge 18 aprile 1962, n. 230, che fissava la regola per cui il contratto si reputa a tempo indeterminato (art. 1, comma 1), salvo le eccezioni, previste dal secondo comma.
  3. L’elenco di eccezioni venne integrato in varie occasioni. Per quel che qui interessa, deve ricordarsi l’integrazione operata nel 1986 dalla legge n. 84, intitolata “Assunzione di personale a termine nelle aziende di trasporto aereo ed esercenti i servizi aeroportuali”. L’articolo unico di tale legge recita così: “All’articolo 1, secondo comma, della legge 18 aprile 1962, n. 230, dopo la lettera c) è aggiunta la seguente: f) quando l’assunzione venga effettuata da aziende d trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di colo, di assistenza a bordo di passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti, e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale che, al 1 gennaio dell’anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, previa autorizzazione dell’ispettorato del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di cui alla presente lettera”.
  4. Nel 2001 il Legislatore dettò una nuova disciplina organica del lavoro a tempo determinato, emanando il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, “attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICEF, dal CEEP e dal CES”, il cui art. 11 abrogò la legge n. 230 del 1962.
  5. La nuova normativa fissò all’art. 1 la regola per la quale: “E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
  6. L’eccezione alla regola, dettata dalla lett. f) dell’art. 1 della normativa previgente, non venne dismessa, fu riproposta dall’art. 2 del d. lgs. 368, che così si esprime: “E’ consentita l’apposizione di un termine quando l’assunzione sia effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo di passeggeri e merci, per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al quindici per cento dell’organico aziendale che, al 1° gennaio dell’anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, previa autorizzazione della direzione provinciale del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazioni delle richieste di assunzione”.
  7. Dalla lettura sistematica del decreto legislativo 368/2001 emerge che l’apposizione del termine è consentita in generale dall’indicazione della causale di cui all’art. 1, mentre nello specifico settore del trasporto aereo e dei servizi aeroportuali l’apposizione del termine è consentita in presenza di altri specifici requisiti. Si tratta di due regole autonome, che operano, in parallelo, come emerge dal verbo che regge ciascuna delle due disposizioni. Nella generalità dei settori produttivi il contratto a tempo determinato è consentito se si indicano le ragioni di ordine produttivo, tecnico, organizzativo e sostitutivo della scelta; nel trasporto aereo è consentito in presenza di alcuni requisiti specificamente indicati dal legislatore.
  8. Dalla lettura dei testi normativi nella loro successione storica si evince che la preclusione generale all’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato salvo eccezioni tassativamente elencate, venne sostituita con la regola per cui tale assunzione è consentita solo in presenza di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. A fronte di questa modifica, venne conservata l’eccezione prevista un tempo dalla lett. f) dell’art. 1 della legge 230/1962, riproponendola nell’art. 2 del d. lgs. del 2001.
  9. In varie sentenze (ex plurimis, Cass. n. 3309 del 2006), si spiegò che quella dell’art. 2 si poneva come “disciplina  speciale di settore, più favorevole alle aziende”. A sua volta. la dottrina ha costantemente interpretato il nuovo assetto nel senso che, rispetto alla nuova regola dettata dall’art. 1, l’art. 2 configura un’eccezione, in relazione ad un dato settore e in presenza di determinati requisiti, per cui, sussistendo tutti questi elementi, non è necessario indicare nel contratto le ragioni dell’assunzione.
  10. nel 2005 il legislatore, con la’rt. 1, comma 558, della legge n. 266, intervenne sull’art. 2 del d. lgs. 368/2001, aggiungendo un comma, denominato 1-bis, che così recita: “1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando l’assunzione sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15 per cento dell’organico aziendale, riferito al 1 gennaio dell’anno in cui le assunzioni si riferiscono. Le organizzazioni sindacali provinciali di categoria ricevono comunicazione delle richieste di assunzione da parte delle aziende di  cui al presente comma”.
  11. Come attestano le espressioni lessicali utilizzate, nonché la sequenza e persino la numerazione (1-bis), la norma si colloca in posizione sistematica del tutto identica a quella del comma 1. Agganciandosi al primo comma (“Le disposizioni  di cui al comma 1 si applicano anche quando …”) e quindi ad una disposizione introdotta dall’inciso “E’ consentita …”, aggiunge una seconda eccezione alla regola sulla necessità di indicare la causale della assunzione dettata dall’art. 1 del d. lgs. 368/2001.
  12. Al pari della prima eccezione, lo spazio in cui è consentita l’apposizione del termine senza necessità di specificare nel contratto le ragioni organizzative, produttive, tecniche o sostitutive, viene individuato delineando un settore (nel primo caso il trasporto aereo e i servizi aeroportuali, nel secondo i servizi postali) e una serie di delimitazioni temporali e quantitative. Per il trasporto aereo l’assunzione deve avvenire per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti, le assunzioni a termine non possono superare il quindici per cento dell’organico aziendale. Vi è poi l’ulteriore limitazione di natura procedurale consistente nell’obbligo di dare comunicazione delle richieste di assunzioni a termine alle organizzazioni sindacali provinciali.
  13. I limiti previsti dal comma 1-bis sono analoghi. Anche in questo caso ci consente l’apposizione del termine a prescindere dalla indicazione delle ragioni limitatamente ad un determinato settore produttivo, che viene indicato in quello delle “imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste”. Gli altri limiti sono identici a quelli del primo comma: periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per i periodi diversamente distribuiti. Comunicazione alle organizzazioni sindacali provinciali e “percentuale non superiore al quindici per cento dell’organico aziendale, riferito al 1 gennaio dell’anno in cui le assunzioni si riferiscono”.
  14. Quindi, l’impresa concessionaria del servizio postale può assumere a termine un lavoratore per un periodo massimo di sei mesi o di quattro mesi a seconda che detto periodo sia compreso tra aprile ed ottobre di ogni anno o nel periodo residuo dell’anno e, soprattutto, può farlo solo se con tale assunzione non superi il limite quantitativo costituito dal quindici per cento dell’organico aziendale. Se l’assunzione avviene nei settori su indicati e nel rispetto di tali limiti, non è necessario indicare in contratto, ai sensi dell’art. 1, le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo giustificano. La valutazione in ordine alla sussistenza della giustificazione è stata fatta ex ante dal legislatore.
  15. La tesi del ricorrente è che, invece, gli elementi restrittivi previsti dall’art. 1 e dall’art. 2 si sommerebbero e, quindi, per i contratti a tempo determinato nei settori del trasporto aereo e delle poste bisognerebbe indicare le ragioni tecnico-organizzative-produttive o sostitutive giustificative dall’apposizione del termine come per ogni altro contratto a tempo determinato ed, in più, rispetto agli altri settori, bisognerebbe rispettare i limiti specificati nei due commi dell’art. 2.
  16. E’ un’interpretazione che contrasta con le ragioni testuali, teleologiche e sistematiche prima indicate e non ha trovato seguito in dottrina, non solo da parte degli autori che hanno condiviso la scelta liberalizzante operata dal legislatore con tali interventi, ma anche da parte degli autori che quella scelta hanno criticato. Quanto alla giurisprudenza, come si è visto, la ricostruzione è nel senso dell’alternatività dei requisiti richiesti dall’art.1 primo comma e dall’art.2 del d. lgs. 368 del 2001. In modo convergente si sono espresse la Corte di cassazione, la Corte di giustizia dell’Unione europea (11 novembre 2010, Vino c. Poste italiane spa, C-20/10) e la Corte costituzionale (sentenza n.214 del 2009).
  17. Deve quindi essere affermato il seguente principio di diritto: “Le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal comma 1-bis dell’art.2 del decreto legislativo n.368 del 2001, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del primo comma dell’art.1 del medesimo decreto legislativo”.

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  1. Con il secondo motivo si censura la sentenza per aver violato la norma del codice civile sulla distribuzione dell’onere della prova con riferimento al rispetto della clausola di contingentamento, cioè alla percentuale massima di assunzioni a tempo determinato fissata dalla legge.
  2. Si assume che la Corte di Roma, affermando che la lavoratrice non avrebbe formulato alcuna eccezione in ordine al rispetto del limite percentuale imposto dalla legge, si sarebbe posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità per cui è onere del datore di lavoro, ex art.2697 c.c., trattandosi di fatto costitutivo del potere di assumere a termine col regime di favore adottato, fornire la prova del rispetto della percentuale di contingentamento del quindici per cento. E si assume che sul punto nessuna valida prova era stata fornita da chi ne era onerato perché in primo grado non sono erano stati ammessi i mezzi istruttori richiesti dalla società a tal fine ed anzi, l’azienda si era difesa producendo documentazione attestante il superamento del limite. La ricorrente conclude che, pertanto, “non solo Poste italiane non ha adeguatamente provato di aver rispettato la clausola di contingentamento, ma vi è prova della sua violazione”.
  3. Nella sentenza della Corte di Roma, però, non si sostiene né che l’onere della prova del rispetto dei limiti in percentuale delle assunzioni a termine non fosse a carico del datore di lavoro, né che la lavoratrice ricorrente avesse l’onere di eccepire il superamento di detto limite e non avesse formulato tale eccezione. La sentenza si limita a ricordare che il giudice di primo grado aveva ritenuto provato il rispetto del limite relativo alla percentuale massima di assunzioni a termine previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d. lgs. 368 del 2001 sulla base della documentazione prodotta dalla società ed afferma che con l’atto di appello non era stata formulata alcuna censura specifica sul punto.
  4. A fronte di questa affermazione della sentenza di appello, nel ricorso per cassazione sarebbe stato necessario esporre, in modo circostanziato, che l’atto di appello conteneva una specifica censura sul punto. In mancanza, rimane preclusa la possibilità di riaprire la discussione sul tema. Discussione che, peraltro, in sede di giudizio di legittimità, non avrebbe comunque potuto estendersi alle valutazioni attinenti al merito svolte nel ricorso, laddove si chiede alla Corte di rileggere la documentazione prodotta dalla società per desumere che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, la stessa permettesse di operare una diversa valutazione circa il superamento del limite numerico. Questo motivo pertanto è inammissibile.

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  1. Il terzo motivo contiene una denunzia preliminare concernente il fatto che il giudice di secondo grado avrebbe “omesso completamente di pronunciarsi sulla specifica censura sollevata dalla ricorrente in ordine all’illegittimità dei due contratti a termine impugnati separati da un lasso di tempo pari a soli diciassette giorni l’uno dall’altro”. La denunzia viene operata richiamando non l’art.360, primo comma, n. 4, c.p.c., ma i nn. 3 e 5 del medesimo articolo, il che ne precluderebbe l’ammissibilità. Tuttavia, considerando la sostanza del problema posto, deve rilevarsi che l’esame della sentenza impugnata porta ad escludere che la Corte abbia violato il principio sancito dall’art. 112 c.p.c. e quindi commesso un errore del tipo di quello denunziato.
  2. Come la ricorrente ribadisce, si chiedeva, in riforma della sentenza del Tribunale, di dichiarare l’illegittimità del termine con conseguente conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal primo contratto. La Corte si è pronunciata sulla domanda e lo ha fatto avendo presente che i contratti erano due: nella sentenza, in sede di svolgimento del processo si specificano numero, date, durata e intervallo di tempo intercorso tra i due contratti ed il ragionamento giuridico parte della premessa che i contratti erano due e presentavano tali caratteristiche. Di conseguenza, il vizio che si imputa alla decisione non è in realtà una violazione del principio della necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, perché una decisione sul punto specifico è contenuta nella sentenza, né vi è un vizio di motivazione, perché ai sensi del n.5 dell’art.360 c.p.c. (nella versione applicabile ratione temporis), a tal fine la denunzia avrebbe dovuto pur sempre riguardare la motivazione concernente l’accertamento di un fatto, controverso e decisivo. Al contrario, come si è visto, la sentenza dà atto del fatto, incontroverso, che i contratti erano due. In realtà, ciò che si denunzia è un vizio della motivazione in diritto della sentenza, vizio che, in quanto tale, non costituisce motivo di ricorso per cassazione (art. 384, ult. comma, c.p.c.).

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  1. Venendo invece al cuore del motivo, la questione posta concerne la violazione della normativa sui contratti a tempo determinato “successivi”.
  2. La ricorrente, ribadito di aver sottoscritto con Poste italiane due contratti a termine in successione tra loro con un intervallo tra il primo ed il secondo di diciassette giorni, sostiene che per i lavoratori assunti ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d. lgs.368/2001, “non si applicherebbe neanche la insufficiente tutela dell’art. 5, comma 3, del d. lgs. 368 del 2001 che, ove applicabile in via analogica, sicuramente dovrebbe prevedere un lasso temporale antifraudolento tra un contratto a termine e quello successivo ben superiore” (ricorso pag.54). Il ricorso prosegue quindi affermando: “Il contrasto dell’art. 5, comma 3, d. lgs. 368/2001 con la normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia nella UE nella sentenza Adeneker, può essere superato o con applicazione diretta della normativa interna antifraudolenta (art. 1345 c.c.) o considerando l’interpretazione comunitaria come “ius superveniens” (Corte cost. 252/2006), oppure in caso di dubbio, sollevando con specifico riferimento alla normativa interna questione di pregiudizialità ex art. 267 TUEF”. Nella memoria quest’ultimo punto viene sviluppato prospettando una serie di questioni pregiudiziali.
  3. In relazione a questa parte del ricorso la sezione lavoro ha emesso l’ordinanza interlocutoria ritenendo trattarsi di “questione di massima di particolare importanza, essendo inerente ad un contenzioso di natura seriale già cospicuo e destinato verosimilmente ad ulteriore incremento, in presenza del quale appare necessario scongiurare l’eventuale formarsi di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità”.
  4. Le questioni poste dal motivo di ricorso, o ad esso sottese, sono in realtà più di una, anche se tra loro indubbiamente connesse.
  5. La prima consiste nello stabilire se i contratti a termine in successione stipulati tra le parti del giudizio siano o meno conformi alla disciplina sul contratto a tempo determinato applicabile ratione temporis.
  6. Distinta questione è stabilire se, pur essendo rispettosi di tale disciplina, essi non siano tuttavia illeciti ai sensi dell’art. 1344 c.c. (contratto in frode alla legge).
  7. Ulteriore problema è stabilire se la disciplina italiana sulla successione di contratti a termine, applicabile ratione temporis, sia conforme alla Direttiva europea sul contratto a tempo determinato o se, invece vi siano elementi di contrasto che impongano un rinvio pregiudiziale.
  8. E’ opportuno ricostruire gli assetti normativi proprio partendo dal diritto dell’Unione europea.
  9. L’accordo quadro sul contratto di lavoro a tempo determinato, sottoscritto dalle organizzazioni sindacali europee e recepito nella direttiva del Consiglio 28 giugno /1999/70/CE, si occupa dei problemi posti dalla stipulazione di contratti a termine in successione tra loro alla clausola n. 5, intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”.
  10. Nell’incipit della clausola si spiega che la finalità perseguita è di “prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”. Intitolazione e finalità espressamente enunciata indicano, pertanto, che l’accordo opera in una prospettiva di prevenzione.
  11. Nel seguito del punto n. 1 si elencano le “misure” volte a perseguire il fine della prevenzione. Esse possono essere di tre tipi: a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti; b) durata massima totale dei contratti a termine successivi; c) numero dei rinnovi.
  12. La clausola stabilisce che gli Stati membri devono adottare “una o più” di tali misure. Quindi, con chiarezza dice che non è necessaria la compresenza di queste misure, ma è sufficiente l’adozione di una di esse. Inoltre afferma che l’adozione di una o più di tali misure è necessaria in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi.
  13. Il punto n.2 della medesima clausola pone il problema di chiarire cosa debba intendersi per contratti successivi, invitando gli Stati membri a “stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato …. devono essere considerati successivi”.
  14. Il legislatore europeo chiede, quindi, agli Stati membri un duplice intervento normativo: 1) stabilire cosa intenda per contratti successivi; 2) prevedere misure contro gli abusi nei casi di stipulazione di contatti successivi.
  15. Ciascun Stato membro dovrà stabilire quando più contratti a temine possono essere considerati successivi, ad es. perché stipulati tra le stese parti, per le stesse mansioni, a distanza di determinato periodo di tempo l’uno dall’altro, ecc…. La scelta è molto rilevante perché, se non è qualificabile come successivo, un nuovo contratto avrà il trattamento giuridico di un primo contratto. Per i contratti qualificabili come successivi, invece, il legislatore interno dovrà stabilire, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi, (una o più) misure rientranti in uno dei tre tipi su specificati.
  16. L’accordo non impone agli Stati membri, in presenza di contratti successivi, di prevedere la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato (per approfondimenti, cfr. Cass., sez. un., 15 marzo 2016 n. 5072).La Corte di giustizia dell’Unione europea , sul punto, ha sottolineato ripetutamente: “l’accordo quadro non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. Infatti, la clausola 5, punto 2, dell’accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o rapporti di lavoro vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. Da ciò discende che l’accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si può fare uso dei contratti a tempo indeterminato” (Corte di giustizia, terza sezione, 26 novembre 2014, Mascolo c. Ministero dell’Istruzine, dell’Università e della Ricerca, cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, punto n.81).
  17. La legge italiana da applicare nella causa in esame detta sul tema le seguenti regole.
  18. L’art.5, comma 4-bis, del d.lgs. 368/2001, introdotto dalla legge 247 del 2007, stabilisce che “qualora per effetto di una successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo steso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato”.
  19. Tale norma, pertanto: 1) configura una nozione ampia di contratti a termine successivi; 2) prevede una misura che rientra nella lett. b) della clausola 5 dell’accordo quadro (durata massima complessiva dei contratti in successione) e 3) prevede la trasformazione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato qualora sia stato superato il limite di durata massima.
  20. La nozione di contratti a termine successivi è ampia perché relativa alla stipulazione di più contratti (quindi anche solo due), tra le medesime parti, per mansioni equivalenti (quindi non necessariamente le stesse mansioni) e, soprattutto, quali che siano gli intervalli di tempo tra un contratto e l’altro (“indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro”).
  21. Rispetto a questa disciplina, i commi 3 e 4 del medesimo art. 5 del d. lg.s 368/2001, si occupano di ipotesi di successione di contratti a termine particolarmente ravvicinate, prevedendo la trasformazione del rapporto immediata e non al superamento del tetto dei 36 mesi. Il comma 4 stabilisce che se la successione tra due contratti a termine è “senza soluzione di continuità” il rapporto si considera a tempo indeterminato. Il comma 3 prevede lo stesso effetto sanzionatorio per il caso in cui la riassunzione del medesimo lavoratore avvenga entro 10 giorni o 20 giorni, a seconda che il primo contratto sia stato di durata inferiore o superiore ai sei mesi.
  22. Riordinando la materia, in relazione alla gravità delle violazioni, si può articolare questa sequenza. Se il contratto successivo viene stipulato senza soluzione di continuità con il primo (o comunque con un contratto precedente) il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto (art. 5, comma 4, d. lgs. 368/2001). Se il primo contratto (art.5, comma 4, d.lgs. 368/2001). Se il primo contratto ha durata inferiore a sei mesi e il lavoratore viene riassunto entro dieci giorni dalla scadenza del primo, il contratto si considera a tempo indeterminato (art. 5, comma 3, d.lgs. 368/2001). Se vengono stipulati due o più contratti a termine in successione tra loro, con intervalli tra l’uno e l’altro”, superiori a quelli indicati nelle ipotesi precedenti, la normativa italiana prevede una delle misure di cui alla clausola n. 5 dell’accordo europeo, e cioè il limite massimo dei 36 mesi, da calcolare, come si è visto, “indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro”. Quindi quel limite opera quale che sia la durata dell’intervallo, anche se i contratti sono distanziati di molti mesi tra loro. Se viene superato il limite complessivo di 36 mesi il contratto si considera a tempo indeterminato.
  23. Tale disciplina si applica anche ai contratti a termine stipulati prima dell’introduzione del comma 4-bis aggiunto, come si è visto, dall’art. 1, comma 40, della legge 247 del 2007. Ciò perché il comma 43 del medesimo articolo attrae, nel conteggio finalizzato al rispetto del limite di durata massima complessiva, anche i contratti a termine già conclusi, prevedendo che se, in forza del computo complessivo, il limite massimo viene superato, si avrà la trasformazione del rapporto a termine in un rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato (sul punto, cfr. ampie, Cass. N.19998 del 2014 e n.13609 del 215).
  24. A tutto ciò deve aggiungersi (in questo caso è corretto parlare di restrizioni “aggiuntive”), con riferimento specifico ai contratti di lavoro rientranti nella previsione dell’art.2, comma 1 (trasporto aereo e servizi aeroportuali) e 1-bis (servizi postali, oggetto della controversia in esame) che l’abuso è perseguito con ulteriori misure, in quanto ciascuno dei contratti in successione non potrà superare i sei mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno e i quattro mesi per il restante periodo; la loro stipulazione dovrà essere comunicata alle organizzazioni sindacali provinciali e, infine, e soprattutto, i contratti a termine non potranno essere stipulati in misura superiore alla percentuale del quindici per cento dell’organico aziendale, riferito al 1° gennaio dell’anno in cui le assunzioni si riferiscono.
  25. Nel caso in esame, la normativa su richiamata è stata rispettata: i contratti sono stati due (il primo dal 23 gennaio al 31 marzo del 2007 e il secondo dal 17 aprile al 31 maggio del medesimo anno), sono stati stipulati con soluzione di continuità (quindi non si rientra nel comma 4), il primo ha avuto durata inferiore ai sei mesi e il secondo è stato stipulato oltre il decimo giorno (quindi non si rientra nel comma 3); la loro durata complessiva – che, come si è visto, per quanto stipulati prima dell’introduzione del comma 4-bis, rileva ai sensi del comma 43 della legge 247/2007 – è molto lontana dal tetto dei 36 mesi; i contratti inoltre rispettano le ulteriori specifiche prescrizioni dettate dal comma 1-bis dell’art. 2 lgs. 368. Pertanto, deve ritenersi che i contratti in successione siano conformi alla normativa sul contratto a tempo determinato.
  26. Problema diverso, come si è anticipato, è quello di stabilire se, pur essendo rispettosi della normativa dettata dal d.lgs.368 del 2001, essi siano stati stipulati “in frode alla legge”. Questo profilo del motivo è inammissibile perché non viene dato conto del se, come e quando esso sia stato proposto nei gradi di merito del giudizio. In ogni caso, numero, durata di ciascun contratto e durata complessiva del rapporto indicano che si è lontani dall’ipotizzabilità di una frode alla legge.
  27. La dottrina che ha approfondito questa complessa problematica in relazione alla materia della successione di contratti a tempo determinato, spiega che le norme prima esaminate hanno drasticamente ridotto le ipotesi di frode alla legge in questo ambito, perché anche i pregressi casi di reiterazione in fraudem legis sono divenuti veri e propri comportamenti contra legem espressamente sanzionati dall’art. 5, comma 4-bis. Tuttavia, le norme imperative che fissano limiti massimi di durata al rapporto tra uno stesso datore di lavoro ed uno stesso lavoratore superati i quali il rapporto diviene a tempo indeterminato, possono essere ancora eluse mediante contratti la cui causa in tal caso dovrà essere reputata illecita (artt. 1344 c.c.).In particolare ciò sembra ipotizzabile in casi estremi di utilizzazione fraudolenta delle norme che escludono dal computo alcuni tipi contrattuali o mediante l’impiego del lavoratore in mansioni diverse. Ipotesi invero divenute ancora più residuali a seguito degli ultimi sviluppi della normativa sul contratto a tempo determinato (d. lgs. 15 giugno 2015, n.81, artt.19 e ss.). Ma si tratta di ipotesi molto lontane dal caso in esame.
  28. Quanto, infine, al problema del rapporto tra la disciplina italiana e la direttiva europea, la maggiore articolazione delle difese sul punto impone osservazioni più diffuse.
  29. Anticipando le conclusioni, deve ritenersi che sia da escludere un contrasto tra i due ordinamenti con riferimento alle norme applicabili al caso in esame, specie in considerazione del fatto che, come si è visto, l’ordinamento italiano in presenza di contratti in successione tra loro, impone, quale che sia l’intervallo temporale tra i contratti, la misura della durata massima e sanziona la violazione di tale misura con la trasformazione del rapporto. Qualora poi la successione sia senza soluzione di continuità o sia particolarmente ravvicinata, il quadro sanzionatorio viene rafforzato.
  30. La stessa ordinanza interlocutoria della Sezione lavoro ricorda espressamente che i precedenti arresti della Corte hanno sempre dato risposta affermativa al problema della conformità sul punto dell’ordinamento italiano a quello europeo e che la richiesta di rimessione viene formulata non a causa di un contrasto di orientamenti, ma solo per avere un intervento delle Sezioni unite in presenza di “un contenzioso già cospicuo e destinato verosimilmente ad ulteriore incremento, in presenza del quale appare necessario scongiurare l’eventuale formarsi di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità”. Contenzioso all’interno del quale vengono spesso sollecitati rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione europea, a volte corredati da richiami alla nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati laddove, ai fini della individuazione di ipotesi di violazione manifesta della legge, considera anche la “mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art.267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.
  31. La difesa della ricorrente, in questa ottica, ha prospettato nella memoria per l’udienza una serie di questioni pregiudiziali, sostenendo che le prime due “coincidono perfettamente con quelle accolte dalla sentenza Adeneler” (cfr. osservazioni presentate in udienza).
  32. Con la prima si assume l’incompatibilità con la clausola n.5 dell’accordo quadro della normativa italiana che permette la stipulazione di più contratti a termine senza necessità di indicare le ragioni della scelta ai sensi dell’art. 1 del d. lgs. 368/2001, ma in presenza dei soli presupposti richiesti dall’art. 2, commi 1 e 1-bis. La tesi non è condivisibile perché, come la Corte di giustizia ha reiteratamente precisato, quella indicata dalla lett. a) del punto n.1 della clausola 5 dell’accordo quadro (“ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo”) è una delle tre misure considerate idonee a prevenire gli abusi, che non devono essere tutte presenti in quanto è sufficiente che lo Stato membro ne adotti una. E si è visto che, con riferimento ai settori indicati nei com i 1 e 1 bis dell’art.2, il legislatore italiano ha adottato la misura prevista dalla lett.b) (“durata massima totale dei contratti o rapporti a tempo determinato successivi”), in aggiunta peraltro ad altre restrizioni specifiche.
  33. Nella stessa sentenza invocata dalla difesa ricorrente (Grande sezione, 4 luglio 2006, in proc. C-212/04, Adeneler c. Ellenikos Organismos Galaktos), il principio della non necessaria compresenza della misura è ribadito più volte (ai punti nn. 80, 90 e 101 si ricorda che è sufficiente che lo Stato adotti “almeno una” delle misure previste dalla clausola n.3). Tale decisione conclude poi per la non conformità ma per un’altra ragione e cioè perché la legislazione greca aveva scelto di utilizzare la misura prevista dalla lett. a) con una formulazione così ampia e generica del concetto di “ragioni obiettive” da entrare in collisione con l’accordo quadro.
  34. Nel caso in esame, il legislatore italiano ha utilizzato un’altra delle misure previste dal punto 1, della clausola 5, e cioè la misura prevista dalla lett. b) (durata massima totale dei contratti a tempo determinato successivi), sicchè i problemi relativi alla lett. a) non sono rilevanti, perché, come si è più volte sottolineato, in base all’accordo le tre misure non devono necessariamente coesistere, ma è sufficiente l’adozione di una di esse.
  35. La seconda questione di pregiudizialità europea posta nella memoria concerne il possibile contrasto tra la clausola 5, n. 2, dell’accordo quadro ed una normativa nazionale “che stabilisce che soltanto i contatti o rapporti di lavoro a tempo determinato non separati gli uni dagli altri da un lasso temporale superiore a 10 o a 20 giorni lavorativi (rispettivamente per i contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato di durata inferiore o superiore ai sei mesi) devono essere considerati ‘successivi’ ai sensi della detta clausola”.
  36. Anche questa prospettazione non è condivisibile, in quanto, come si è anche visto, la normativa sulla successione di contratti a termine dettata dall’art.5 del d. lgs. n.368 del 2001, applica la misura di cui alla lett. b) della clausola n. 5 dell’accordo quadro, quale che sia la durata degli intervalli tra un contratto e l’altro.
  37. Nel caso Adeneler la CGUE si trovava dinanzi lavoratori che per molti anni in sequenza erano stati assunti a termine in forza di una legislazione che considerava i contratti successivi solo se stipulati entro venti giorni dalla estinzione del precedente, superati i quali una nuova assunzione veniva considerata come un contratto non in successione e quindi come un primo contratto. Inoltre, delle tre misure previste dalla clausola 5, la normativa greca aveva ritenuto di applicare la prima, concernente le ragioni obiettive, ma offrendone un’interpretazione che la CGUE, ha ritenuto non conforme. Né era prevista, a chiusura del sistema la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, misura invece prevista la legislatore italiano in caso di superamento del limite massimo dei 36 mesi.
  38. Valutando questa ben diversa situazione, la Grande sezione ha concluso, da un lato, che osta alla clausola n. 5 la previsione greca per la quale possono essere considerati contratti a termine successivi solo contratti stipulati in sequenze inferiori ai 20 giorni, dall’altro, che osta all’accordo quadro una normativa nazionale che vieti in maniera assoluta di trasformare il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato e che “non preveda, nel settore considerato, altra misura effettiva per evitare e, se del caso sanzionare l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato successivi”.
  39. La diversità rispetto alla legislazione italiana applicabile al presente giudizio è evidente sotto molteplici profili: la legislazione italiana prevede la misura preventiva di cui alla lett. b) della clausola n.5 dell’accordo quadro (limite massimo dei 36 mesi) e, ai fini dell’applicazione di quella misura, considera successivo qualsiasi contratto stipulato in sequenza, “indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro”; inoltre, nel caso di superamento dei 36 mesi è prevista la misura della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, che manca nella normativa greca applicabile al caso Adeneler.
  40. In presenza di questo complesso di misure, deve escludersi che la legislazione italiana sia omologabile alla normativa greca considerata dalla Grande sezione e deve escludersi che in relazione ad essa possa porsi un problema di conformità all’accordo quadro e specificatamente di contrasto con la clausola n.5.
  41. Quanto poi alla sentenza 3 luglio 2014, in causa Fiamingo c.Rete ferroviaria italiana C-362/13, anch’essa richiamata dalla ricorrente, il giudizio della Corte di giustizia in questo caso è che la direttiva europea “non” osta alla normativa del codice della navigazione italiano sul contratto di arruolamento a tempo determinato dei marittimi. Tale giudizio vale a fortiori per la normativa del d. lgs. 368/2001 applicabile il caso in esame. Infatti, la Corte di giustizia, rilevato che il codice della navigazione considera successivi esclusivamente i contratti a termine stipulati al massimo entro 60 giorni l’uno dall’altro, osserva che “un siffatto intervallo può essere considerato, in generale, sufficiente per interrompere qualsiai rapporto di lavoro esistente e, di conseguenza, far si che qualsiasi contratto eventuale, sottoscritto posteriormente non sia considerato successivo al precedente”, in quanto “sembra difficile per un datore di lavoro, che abbia esigenze permanenti e durature, aggirare la tutela concessa dall’accordo quadro contro gli abusi facendo decorrere, alla fine di ciascun contratto di lavoro a tempo determinato, un termine di circa due mesi” (sentenza cit. punto n.71). Il coerente sviluppo di questo ragionamento porta ad escludere, a maggior ragione, un contrasto con la clausola n. 5 dell’accordo quadro del meccanismo previsto dall’art. 5, comma 4-bis, d. lgs. 368/2001, che considera successivi contratti a termine distanti tra loro intervalli anche di molto superiori ai due mesi, inglobando nel calcolo del tetto massimo, la cui violazione comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto, tutti i contratti a termine stipulati tra le parti “indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro”. Il tutto, peraltro, in un contesto che prevede l’incisivo limite quantitativo della percentuale massima del quindici per cento di assunzioni a termine, assente nel lavoro marittimo.
  42. Con riferimento alle altre questioni di conformità poste con la memoria difensiva, deve escludersi la rilevanza di tutte quelle che fanno in diversa guisa riferimento all’art.32 della legge n.183 del 2010 (nn. 3,5 e 6). Il problema dell’applicazione di tale normativa si pone solo quando, accertata l’illegittimità dell’apposizione del termine sia stato apposto illegittimamente e quindi il problema delle conseguenze non sorge.
  43. Un problema specifico viene posto con la questione n. 4. Ci si chiede se la clausola n. 5, punto n. 1, lett. b) e punto n. 2, dell’accordo quadro osti all’art. 5, comma 4-bis d. lgs. n. 368 del 2001 che sanziona con la trasformazione a tempo indeterminato la successione di contratti a termine per un periodo complessivo superiore ai 36 mesi “soltanto nel caso di servizio svolto con mansioni equivalenti, essendo sufficiente differenziare le mansioni con un diverso livello d’inquadramento contrattuale per non rientrare nel campo temporale limitato a 36 mesi”.Anche tale questione non è rilevante, perché nella presente controversia non è stato posto un problema concernente le mansioni, in quanto non si è messo in discussione che le mansioni svolte dalla ricorrente nei contratti a termine in successione fossero le stesse o quanto meno equivalenti. Anzi, nella ricostruzione dei fatti di causa contenuta nel ricorso si afferma che qualifiche e mansioni furono identiche.
  44. Non rilevante è, infine, anche la questione n. 7 relativa ad un presunto contrasto tra i principi generali del diritto dell’Unione europea e la normativa introdotta dalla legge n.18 del 2015. Si sostiene che la nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati sarebbe volta a vanificare le decisioni della CGUE e a condizionare la giurisdizione interna, laddove il nuovo testo dell’art. 2, commi 3 e 3-bis, della legge n.117 del 1988 costruisce una responsabilità per dolo o colpa grave “in caso di violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea”, il che, a parere della ricorrente, pone il giudice nazionale di fronte ad una scelta che, comunque venga esercitata sarebbe causa di responsabilità civile e disciplinare, tra il violare la normativa interna disapplicandola o invece violare il diritto dell’Unione europea applicando le norme interne in palese contrasto la clausola n.5 dell’accordo quadro. La prospettazione non è condivisibile perché gli ordinamenti hanno regolato i loro rapporti prevedendo meccanismi per la soluzione di eventuali contrasti e disallineamenti, che peraltro nel caso in esame non si colgono.
  45. In conclusione, per le ragioni esposte, i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato stipulati in successione tra loro tra le parti del presente giudizio sono conformi alla disciplina del lavoro a tempo determinato dettata dal d. lgs. 6 settembre 2001, n. 368 e successive integrazioni, applicabile ratione temporis. A sua volta, la disciplina italiana applicabile al rapporto, e cioè la normativa sulla successione di contratti a tempo determinato dettata dall’art.5 del decreto legislativo n. 368 del 2001, integrata dall’art. 1 comma n. 40 e n. 43, della legge n. 247 del 2007, è conforme ai relativi principi fissati dall’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, stipulato tra le organizzazioni sindacali CES, UNICE e CEEP il 18 marzo 1999, recepito nella Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE”.
  46. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
  47. Le spese devono essere compensate, in quanto la rimessione alle Sezioni unite è indice della problematicità della materia.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, lì 5 aprile 2016

Pietro Curzio, estensore

                                                                                                                                                                           Renato Rordorf, presidente

 

 

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Oggi 31 mag. 2016

 

 

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