dell'avvocato Vito Sola, patrocinante in Cassazione

phone icon06.35454548 / 06.35428127 (fax)
addrVia Ugo De Carolis, 31, 00136, Roma
divider

Contratto a termine e risoluzione per mutuo consenso

separator

/ 0 Commenti /

La mera inerzia del lavoratore, dopo la scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato, non è sufficiente a ritenere sussistente la risoluzione del rapporto per mutuo consenso. E’ necessario verificare la presenza di altri comportamenti significativi nel senso di una chiara e certa comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo. In assenza di tali elementi non può essere pronunciata la risoluzione del rapporto lavorativo per mutuo consenso.

 

Studio Legale Avv. Vito Sola
tel. 06.35.45.45.48 ~ fax 178.2746256
email: segreteria@studiolegalesola.it
Via Ugo De Carolis 31 ~ 00136 Roma

 

 

SENTENZA 1892/2017

 

 

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

In nome del Popolo Italiano

Corte D’Appello di Catanzaro

SEZIONE LAVORO

   La Corte, riunita in camera di consiglio, così composta

  1. dott.ssa Gabriella Portale Presidente
  2. dott.ssa Barbara Fatale Consigliere rel.
  3. dott. Antonio Cestone Consigliere

ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A

nella causa in grado di appello iscritta al numero 7 del Ruolo generale affari contenziosi dell’anno 2017 e vertente

TRA

B.A., con l’Avv. SOLA VITO, che la rappresenta e difende in virtù in calce al ricorso in riassunzione, presso il cui studio, sito in Roma, via Ugo del Carolis n. 31, è elettivamente domiciliata

ricorrente in riassunzione/appellante

E

POSTE ITALIANE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, con l’Avv. G. G., che lo rappresenta e difende in virtù di procura generale alle liti per atto del Notaio Giovanni Floridi del 3.12.2008 (n. 23668 di rep., n. 16301 racc.), unitamente al quale è elettivamente domiciliato in Catanzaro, via Vinicio Cortese n. 18/b, presso lo studio dell’Avv. F. V.

resistente in riassunzione/appellata

Avente ad oggetto: ricorso in riassunzione ai sensi dell’art. 392 c.p.c.. Contratto a termine

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Per la B.A.: <<accogliere l’appello proposto, con riforma della sentenza n. 2040/05 emessa il 22.6.2005 dal Tribunale di Locri, Giudice del Lavoro, e, per l’effetto, ritenuto provato il fondamento della domanda, dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato all’allora ricorrente, riconoscere in capo all’odierna appellante in riassunzione il diritto ad essere reintegrata nel posto di lavoro come lavoratore subordinato a tempo indeterminato con l’inquadramento nell’area operativa con decorrenza a far data dal momento dell’assunzione, riconoscere – comunque – il diritto de quo per come richiesto nel ricorso introduttivo del giudizio e, conseguentemente, condannare la società convenuta a riammettere in servizio l’odierna appellante in riassunzione, non al pagamento delle relative retribuzioni maturate e maturande, degli assegni del nucleo familiare, del trattamento di fine rapporto, del versamento dei contributi previdenziali e dei relativi benefici giuridici ai fini pensionistici, e sul tutto l’ulteriore corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria dalla maturazione del diritto all’effettivo soddisfo, comprensiva di interessi legali e/o danno da svalutazione monetaria come per legge, dal momento dell’insorgenza del diritto all’effettivo soddisfo. In ogni caso con vittoria di spese e competenze dei tre gradi  di giudizio, oltre al presente>>;

per Poste Italiane spa: <<… in applicazione dei principi di diritto enunciati nella sentenza della Suprema Corte, rigettare il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, con applicazione in via subordinata, dell’art. 321 comma V e VI legge 183/2010, e con riconoscimento di un’indennità omnicomprensiva nella misura minima di legge e, comunque abbattuta del 50%. Con condanna di parte avversa a spese e compensi del giudizio di Cassazione e di questo grado di giudizio>>

FATTO E DIRITTO

B.A., con atto depositato il 3 gennaio 2017, riassume il giudizio di appello che aveva instaurato davanti alla Corte di appello di Reggio Calabria, sezione lavoro, conclusosi con sentenza n. 1522/2009, depositata il 26/01/2010, e annullata dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 21876/16, resa il 14 gennaio/28 ottobre del 2016, con rinvio a questa Corte di Appello.

Questa la vicenda processuale per come riportato nella sentenza della Corte di Cassazione: <<Il Tribunale di Locri respingeva il ricorso proposto da B.A., nei confronti di Poste Italiane S.p.A., volto ad ottenere, previa declaratoria della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato con Poste Italiane S.p.A. relativamente al periodo 3/6/1999-31/7/1999, il riconoscimento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la condanna della società resistente al ripristino del rapporto, non al pagamento delle retribuzioni maturate, oltre accessori di legge. La Corte territoriale di Reggio Calabria con sentenza depositata il 26/1/2010, in riforma della pronunzia impugnata, rigettava l’originaria domanda della B. dichiarando risolto per mutuo consenso tacito il rapporto di lavoro stipulato inter partes in data 3/6/1999. La Corte di merito osservava, per ciò che in questa sede ancora rileva che, alla stregua dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, con l’Accordo del 25/9/1997 le parti sociali si sono limitate ad introdurre una nuova ipotesi di ricorso al contratto a termine, mentre nell’Accordo attuativo in pari data hanno fissato un limite temporale alle assunzioni; dalla qual cosa si desume la volontà delle parti di autorizzare, entro il detto limite temporale, la stipulazione di contratti a termine e di indicare la data anzidetta quale termine finale dell’autorizzazione concessa; successivamente, le parti hanno ulteriormente stabilito la possibilità di procedere ad assunzioni di personale straordinario  con contratto a tempo determinato fino al 30/4/1998 a causa della mancata conclusione del processo di riorganizzazione.                                              Pertanto, a parere del Collegio di merito, sino a tale ultima data. la società Poste poteva validamente concludere contratti a termine e prorogare di un mese quelli con scadenza prevista al 30/4/1998, mentre il contratto a termine – quale quello di cui si tratta – stipulati in difetto di contrattazione autorizzatoria e, dunque, fuori dagli anzidetti limiti temporali rimangono invalidi. La Corte distrettuale ha, poi ritenuto che, nella fattispecie, il rapporto si sia risolto per mutuo consenso tacito. Per la cassazione della sentenza la B. ha proposto ricorso articolato in due motivi.                              Poste Italiane S.p.A. ha resistito con controricorso ed ha spiegato ricorso incidentale. depositando altresì memoria ai sensi dell’art. 378 del codice di rito>>.

La Corte di Cassazione, disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ha annullato la sentenza gravata alla luce delle seguenti argomentazioni:

<< Con il primo motivo la B. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in quanto la Corte distrettuale, nel ritenere che il contratto di cui si tratta si sia risolto per mutuo consenso, ha dimostrato di non avere tenuto conto del consolidato insegnamento della Suprema Corte, secondo il quale “nelle controversie riguardanti il succedersi di contratti a termine, l’eventuale risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso va accertata con particolare rigore e, ove non contenuta in un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivoco che evidenzia il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso, essendo in particolare prive di univoco valore sintomatico in tal senso, oltre all’illegittima apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo di attività lavorativa, nonché la restituzione del libretto di lavoro  al lavoratore e le stesse circostanze del versamento e dell’accettazione, da parte del medesimo, di competenze economiche. Il giudice deve tenere conto delle aspettative del lavoratore per future possibili assunzioni da parte della società; il che osta a reputare sussistente un suo completo disinteresse alla prosecuzione del rapporto lavorativo (Cass. n. 21141/2008). 2. Con ill secondo motivo, formulato in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la B. lamenta che la sentenza oggetto del presente giudizio  presenti evidenti profili di illegittimità in ordine alla motivazione resa dalla Corte territoriale, se solo si consideri che, una volta individuati i criteri che devono rigorosamente essere seguito al fine di giungere  ad una declaratoria del contratto a termine per mutuo consenso, la stessa ritiene comunque risolto il rapporto di lavoro pur in assenza degli stessi. 3. Con il ricorso incidentale la Poste Italiane S.p.A. deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 della legge n. 56 del 1987 e 8 del CCNL 26/11/1994. nonché degli Accordi sindacali del 25/9/1997, del 16/1/1998, del 27/4/1998, del 2/7/1998, del 24/5/1999 e del 18/1/2001 in riferimento agli artt. 1362 e segg. c.c., sostenendo che la decisione resa dal giudice di appello risulterebbe  meritevole di cassazione, per violazione e falsa applicazione di tutte le norme innanzi indicate, nella parte in cui ha ritenuto di individuare nella data del 30/4/1998 il termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25/9/1997, poiché facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. sarebbe evidente che non solo il predetto accordo non contiene limiti temporali, ma anche che le parti, con i vari accordi attuativi, non hanno inteso limitarlo nel tempo, ma soltanto integrare l’art. 8 del CCNL del 26/11/1994; il che dovrebbe necessariamente fare ritenere che le parti intendessero introdurre un’ipotesi che. 3 così come le altre previste nel medesimo art. 8, doveva essere efficace fino allo scadere del CCNL citato. I due motivi articolati nel ricorso principale, da esaminare congiuntamente, in quanto, all’evidenza intimamente connessi, essendo, in sostanza, entrambi diretti a confutare l’interpretazione accolta dalla Corte di merito in ordine alla configurabilità della risoluzione del contratto a termine per mutuo consenso, sono fondati. Al riguardo, deve premettersi che la Corte di legittimità ha, in più occasioni, precisato che,  – affinché  possa configurarsi  una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara  e certa comune volontà delle stesse parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente  a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre fine ad ogni rapporto di lavoro (così. testualmente, Cass. n. 20605/2014; cfr., pure, nella materia, ex plurimis. Cass. nn. 5887/2011, 23319/2010, 26935/2008,20390/2007, 23554/2004). Orbene, nella fattispecie, la Corte distrettuale non si è attenuta a tale consolidato principio e, con una motivazione non puntuale relativamente alla configurabilità del mutuo consenso, ha reputato che il lasso di tempo di circa quattro anni intercorso tra la conclusione del rapporto di lavoro e la rene del lavoratore e la  – mancanza di una consuetudine tra le parti – potessero indurre a ritenere cessato il 4 rapporto di lavoro, per mutuo consenso  tacito, alla data del 31 luglio 1999, in cui il contratto si è concluso. La sentenza risulta, quindi, incisa, relativamente al mutuo consenso, dai predetti motivi di ricorso ed in relazione agli  stessi va cassata con rinvio. Il ricorso incidentale non è, invece, fondato. I giudici di Appello, invero, correttamente hanno rilevato, con puntuali riferimenti ai consolidati arresti giurisprudenziali della §Suprema Corte nella materia – cfr., in particolare e fra le molte, Cass. nn. 2345/2006, 27311/2005, ai quali in questa sede si fa espresso riferimento, non ritenendo questo Collegio di legittimità che vi siano  motivi per discostarsene -, che l’ipotesi  concernente  la presente controversia  è quella individuata nell’Accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dalle parti sindacali ad integrazione dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994  che fa riferimento alle esigenze eccezionali  conseguenti  alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali  in corso, quale condizione  per la trasformazione giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi; ipotesi precisata, appunto, dall’Accordo sindacale stipulato anch’esso il 25 settembre 1997, le parti si danno atto che, sino al 31 gennaio 1998, l’impresa  si trova nella situazione che precede, dovendo, appunto. affrontare il processo di ristrutturazione, conseguente rimodulazione  degli assetti occupazioni in corso di attuazione; per la qual cosa, per fare fronte alle suddette esigenze è possibile procedere ad assunzione di personale straordinario con contratto a tempo determinato. Il termine del 31 gennaio 1998 è stato poi definitivamente prorogato al 30 aprile 1998 in forza dell’Accordo sindacale attuativo sottoscritto il 16 gennaio 1998. 5 La Corte di merito, fatte queste doverose premesse, ha motivatamente reputato, conformemente  al menzionato indirizzo della Corte di legittimità (cfr., ancora, Cass. n. 23711/2005, cit.) che il contratto a termine di cui si tratta fosse da reputarsi illegittimo, in quanto stipulato oltre il limite di efficacia della clausola autorizzatoria. Il ricorso incidentale non è dunque idoneo a scalfire argomentativo  della Corte distrettuale. Per tutto quanto in precedenza esposto, la sentenza va casata in relazione alla censure accolte, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Catanzaro che si atterrà, nell0’ulteriore esame di merito, a tuti i principi innanzi affermati. provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385, terzo comma, c.p.c.>>.

Orbene, dalla lettura della motivazione della sentenza di rinvio dianzi riportata si evince che la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza del Tribunale di Locri, aveva respinto la domanda di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, in accoglimento dell’appello incidentale di Poste Italiane – dopo avere comunque accertato, in difformità da quanto statuito dal primo giudicante, l’illegittimità dell’apposizione del termine; – per avere ritenuto il contratto sciolto per mutuo consenso.

La Corte di Cassazione riforma la sentenza su tale ultimo punto e respinge il ricorso di Poste Italiane che mirrava ad ottenere l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria in punto di accertamento dell’illegittimità dell’apposizione del termine, avendo ritenuto corretta la sentenza impugnata sotto il suddetto profilo.       Ciò posto, alla luce di quanto statuito dalla Suprema Corte nella sentenza di rinvio, esclusa la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, accertata l’illegittimità dell’apposizione del termine, si impone la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato dalle parti in data 3 giugno 1999 e la conseguente conversione dello stesso in contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza 3 giugno 1999 e la conseguente conversione dello stesso in contratto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza 3 giugno 1999; di conseguenza, Poste Italiane spa va condannata alla riammissione in servizio di B. A. nel posto e nelle mansioni che la stessa aveva alla data del 31 luglio 1999.

Rimane da esaminare unicamente la questione della quantificazione dell’indennizzo ai sensi dell’art. 32, c. 5 della L. 183/2010 (ora abrogato dal d.lgs. 15 giugno 2015 n. 81): “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento al lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

L’art. 8 della Legge 604/66 detta i criteri guida da utilizzare per determinare l’entità del risarcimento, imponendo di tener conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, del comportamento e delle condizioni delle parti.

Nel caso di specie, la durata complessiva del rapporto (protrattosi per meno di due mesi) ed il lungo tempo trascorso dalla cessazione dello stesso rispetto all’instaurazione del giudizio, inducono ad optare per un’indennità del 50%, richiesta da Poste Italiane spa, che fa all’uopo riferimento, nella memoria di costituzione in appello, agli accordi sindacali stipulati dal 2006 in poi, perché questi riguardano i lavoratori che – alla data di stipula degli accordi medesimi – avevano ottenuto la sentenza di riammissione in servizio, nel cui novero non rientra l’odierna appellante, che si è vista respingere la domanda di conversione nei due precedenti gradi di giudizio. Quegli accordi, invero, consentivano ai lavoratori di rinunciare agli effetti della sentenza per essere inseriti in un’apposita graduatoria che avrebbe loro consentito la definitiva assunzione; è di tutta evidenza come, nell’ipotesi in esame difettino i relativi presupposti applicativi, che si vengono ad avverare per la prima volta in questa sede.

In conclusione, in riforma della sentenza del Tribunale di Locri, il ricorso proposto da B.A. con atto depositato il 17.10.2005 va accolto nel senso indicato in dispositivo.

Poste Italiane spa, in quanto soccombente, va condannata a rifonderle le spese di tutti i gradi di giudizio, per come sotto liquidate.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando sul ricorso in riassunzione ex art. 392 c.p.c., proposto da A.B. con atto depositato il 3.1.2017, a seguito dell’annullamento, con sentenza della Corte di Cassazione n. 21876/16, della sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, sezione lavoro, n. 1522/2009, resa in data 18.12.2009/26.12.2010, così provvede:                                                                                                                          accoglie l’appello e, in riforma della sentenza gravata: 1) dichiara la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato dalle parti in data 3 giugno 1999; 2) dichiara che tra le parti si è instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 3 giugno 1999; 3) condanna Poste Italiane spa alla riammissione in servizio di B. A. nel posto e nelle mansioni che la stessa aveva alla data del 31 luglio 1999; 4) condanna Poste Italiane spa al risarcimento del danno mediante corresponsione, in favore di B. A., di una indennità rapportata a 2,5  mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con maggiorazione per rivalutazione monetaria e interessi legale a decorrere dalla data della presente decisione e fino al soddisfo; 5) condanna Poste Italiane spa alla rifusione delle spese di lite che liquida in euro 2100,00 quanto al primo grado, in euro 1900,00 quanto al secondo, in euro 1500,00 quanto al giudizio dava alla Corte di Cassazione, in euro 1900,00 quanto alla presente fase, oltre accessori come per legge dovuti.

Cosi deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio della Corte di appello, Sezione lavoro, 17/10/2017.

Il Consigliere estensore

Dr.ssa Barbara Fatale

                                                                                                   Il Presidente

                                                                                          Dr.ssa Gabriella Portale

Sentenza 1892.17 Corte d’Appello di Catanzaro Sez. Lavoro

separator