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Spese necessarie per la conservazione della cosa comune

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Il condomino, per avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, deve dimostrane l’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c., ossia la necessità di eseguirla senza ritardo, e quindi senza poter avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini.

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 SENTENZA 13418/14

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27248 – 2008 proposto da:

S.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA  D. C. 101, presso lo studio dell’avvocato P.A., rappresentato e difeso dall’avvocato F.M.;

– ricorrente –

contro

B.E., V.E., M.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA B. 16, presso lo studio dell’avvocato S.A., che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato C.  M. C.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1061/2008 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 26/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dl 21/05/2014 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avv. C.  M. C.n difensore dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16-5-2003 il Tribunale di Reggio Emilia, in accoglimento della domanda proposta da B.E., M.V. e V.E., condannava S.S. al pagamento, in favore degli attori, della complessiva somma di Euro 35.589,79 – di cui Euro 7.993,99 in favore del B., Euro 13 589,79 in favore del M. ed Euro 13.589,79 in favore del V. -, a titolo di rimborso – limitatamente alla quota gravante sul convenuto – di spese sostenute in via d’urgenza per i lavori eseguiti sulle parti comuni dell’immobile sito in (OMISSIS).

Avverso la predetta decisione proponeva appello il S..

Con sentenza in data 26-6-2008 la Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame. La Corte territoriale, in particolare, rilevava che l’eccezione di difetto di legittimazione attiva degli attori, così come formulata dagli appellanti, era inammissibile, in quanto basata su presupposti diversi rispetto a quelli prospettati in primo grado, ed era, comunque, manifestamente infondata; che l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio era tardiva ed era, comunque, priva di fondamento; che la doglianza relativa alla mancata dimostrazione, da parte degli attori, del loro diritto di proprietà sull’immobile, era nuova e, comunque, ininfluente, in quanto oggetto del giudizio non era il diritto di proprietà, bensì il diritto di credito per il rimborso di spese anticipate dagli attori; che l’eccezione relativa alla mancata dimostrazione, da parte degli attori, dell’avvenuto pagamento delle spese sostenute per l’esecuzione dei lavori, era tardiva; che la necessità di eseguire i lavori era stata dimostrata dagli attori mediante la produzione delle varie ordinanze comunali susseguitesi nel tempo; che il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato la regolarità dei lavori eseguiti e la congruità delle spese sostenute dagli attori; che non vi era stata alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, avendo il giudice condannato il convenuto al pagamento della somma indicata dagli attori e dovendosi considerare, l’inciso contenente la ripartizione delle spese in base alle quote di spettanza di ognuno, mera enunciazione a chiarimento della posizione dei singoli comproprietari rispetto alla cosa comune.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso S.S., sulla base di quindici motivi, l’undicesimo dei quali articolato in quattro censure.

B.E., M.V. e V.E. hanno resistito con un comune controricorso.

In prossimità dell’udienza sia il ricorrente che i controricorrenti hanno depositato memorie difensive.

1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.. Deduce che la Corte di Appello ha errato nel ritenere nuova l’eccezione di carenza di legittimazione attiva degli attori sollevata dal S. nell’atto di appello, in quanto tale eccezione era  stata già proposta in primo grado.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., in relazione all’affermazione del giudice del gravame, secondo cui l’eccezione di carenza di legittimazione attiva proposta in appello era, comunque, infondata nel merito, avendo gli attori agito congiuntamente come titolari, tutti, del rapporto giuridico dedotto. Rileva che il condominio che abbia pagato oltre la quota su lui gravante può ripetere dagli altri condomini solo la parte per cui essi devono contribuire, in base al criterio fissato dall’art. 754 c.p.c., e che, pertanto, l’azione cumulativamente proposta dagli attori incorre nella violazione dell’art. 81 c.p.c..

1a) Il primo motivo è infondato.

Dall’esame diretto degli atti del giudizio di merito, consentito per la natura del vizio denunciato (in procedendo), si evince che nella comparsa di costituzione di primo grado il convenuto aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva degli attori, deducendo che i medesimi, quali soggetti diversi dal Condominio di via (OMISSIS), intestatario delle fatture emesse, non avevano titolo per chiedere il rimborso di spese relative all’esecuzione di lavori commissionati da un soggetto diverso.

L’eccezione di carenza di legittimazione attiva proposta dal S. con il primo motivo di gravame, al contrario, si basa sul rilievo secondo cui gli attori, nel chiedere congiuntamente la condanna del convenuto al pagamento della somma di Euro 35.173,58, avevano fatto valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio.

Ciò posto, si osserva che, al di là del richiamo operato dal ricorrente all’art. 81 c.p.c., la questione prospettata in appello, basata su presupposti del tutto diversi rispetto a quella formulata in primo grado, attiene, in realtà, al merito della controversia, riguardando l’effettiva titolarità del credito azionato in giudizio.

Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto l’inammissibilità di tale eccezione.

Si rammenta, al riguardo, che la legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione diretta all’ottenimento, da parte del giudice, di una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo, quindi, dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, che si riferisce al merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza. Ne consegue che, a differenza della “legitimatio ad causam” (il cui eventuale difetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio), intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, favorevole o sfavorevole, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, non è rilevabile d’ ufficio, ma è affidata alla disponibilità delle parti e, dunque, deve essere tempestivamente formulata  (tra le tante v. Cass. 10-5-2010 n. 11284; Cass. 27-6-2011 n. 14177).

Nella specie, con riguardo all’eccezione sollevata in appello dal S., non può ritenersi che venga in rilievo una questione di legittimazione ad causam, atteso che gli attori, avendo dichiarato di aver effettuato spese urgenti,  erano senz’altro legittimati a proporre l’azione di  rimborso spese ex art. 1334 c.c.. L’accertamento, in concreto, dell’ammontare del credito vantato da ciascuno degli attori, al contrario, riguarda la reale titolarità del diritto sostanziale fatto valere in giudizio; sicché, in relazione alla relativa questione, trovano applicazione le regole in tema di preclusioni dettate per ciascun grado di giudizio.

1b) Il secondo motivo di ricorso, con cui si censura la sentenza di appello nella parte in  cui ha ritenuto comunque infondata, nel merito, l’eccezione proposta in appello, è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, qualora il Giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato  della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul  merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata. (Cass. SU. 20 – 2 – 2007 n. 3840). Tale principio, affermato con riferimento a fattispecie di inammissibilità riguardante l’intera domanda o gravame, va logicamente esteso ai casi in cui l’inammissibilità riguardi soltanto un capo di domanda o motivo di gravame (cfr. Cass. 1-3-2012 n. 3229).

2) Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 157 c.p.c., comma 2, in relazione alla ritenuta inammissibilità dell’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ ufficio. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, l’eccezione proposta dal convenuto era tempestiva, essendo stata formulata alla prima udienza (22-10-2002) successiva a quella (30-5-2002) in cui il C.T.U., convocato a chiarimenti, ha dato atto di aver tenuto conto anche di documentazione fotografica non agli atti del processo, ma “fornita dai consulenti”.

Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. e dell’art. 87 disp. att. c.p.c., in relazione all’affermazione della Corte di Appello, secondo cui l’eccezione in parola è comunque infondata, in quanto la documentazione fotografica non allegata dalle parti è stata fornita dai tecnici di parte. Fa presente che dalle dichiarazioni del C.T.U, non si comprende se la documentazione in questione sia stata fornita dal tecnico di parte attrice o di parte convenuta, e che, comunque, il consulente di parte non può produrre documenti al posto della parte stessa, essendo un ausiliario e non un procuratore.

2a) il terzo motivo è privo di fondamento.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, in materia di procedimento civile, tutte le ipotesi di nullità della consulenza tecnica – ivi compresa quella dovuta all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – hanno carattere relativo e devono essere fatte valere nella prima udienza successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate (Cass.  31- 1- 2013 n. 2251; Cass. 15 -4 – 2002 n. 5422).

In particolare, è stato affermato che il consulente tecnico di ufficio può tener conto di documenti non ritualmente prodotti in causa solo con il consenso delle parti, in mancanza del quale la suddetta attività dell’ausiliare è, al pari di ogni altro vizio della consulenza tecnica, fonte di nullità relativa soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale (Cass. 19 – 8- 2002 n. 12231; Cass. 14 – 8 – 1999 n. 8659: Cass. 24 – 6- 1984 n. 3743).

Nella specie, pertanto, in conformità del giudizio espresso dai giudici di merito, deve ritenersi la tardività dell’eccezione di nullità della consulenza  tecnica d’ufficio sollevata dal S., per l’assorbente considerazione che la stessa non è stata formulata all’udienza ala quale la causa era stata rinviata a seguito della richiesta congiunta delle parti di assegnazione di un  termine per l’esame dell’elaborato tecnico.

Si osserva, in proposito, che il ricorrente non ha censurato, in punto di fatto, l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la documentazione fotografica in contestazione era stata fornita al C.T.U. dagli stessi consulenti di parte, né l’ulteriore rilievo secondo cui l’appellante, per tutto il tempo durante il quale si sono svolte le operazioni tecniche, è stato assistito dal proprio consulente, con conseguente possibilità per lo stesso di interloquire e contraddire con cognizione di causa.

Siffatte circostanze valgono a comprovare che, in concreto, i rilievi fotografici di cui si discute sono stati acquisiti dal C.T.U. in contraddittorio con il consulente di parte convenuta, la cui costante partecipazione alle operazioni peritali, pertanto, ha posto il S. nelle condizioni di avere piena contezza delle modalità di svolgimento di tali operazioni e dei documenti esaminati dal consulente d’ ufficio.

Ciò vale a smentire l’assunto del ricorrente, secondo cui il medesimo sarebbe venuto per la prima volta a conoscenza dell’utilizzazione, da parte del C.T.U., della documentazione non ritualmente prodotta in giudizio, soltanto all’udienza del 30.5.2002, in occasione dei chiarimenti resi dallo stesso consulente; sicché non può che ribadirsi la tardività dell’eccezione in esame.

2b) Le censure mosse con il quarto motivo in ordine alla ritenuta infondatezza nel merito dell’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio, sono inammissibili per carenza di interesse, per le stesse considerazioni esposte  al punto 1b).

3) Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Deduce che la Corte di Appello, nel ritenere generica l’eccezione di inattendibilità della consulenza tecnica d’ufficio, in base al rilievo secondo cui l’appellante non aveva contestato che i lavori erano stati effettivamente eseguiti, né aveva precisato le ragioni che avrebbero dovuto indurre il giudice a discostarsi dalle conclusioni del C.T.U. e ad aderire alle valutazioni del tecnico di parte, non ha tenuto conto delle specifiche deduzioni svolte al riguardo dal convenuto nella comparsa conclusionale.

Il motivo è infondato.

E invero, a parte il fatto che il vizio denunciato non integra un’ipotesi di omissione di pronuncia (il quale si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione: Cass. 11-2-2009 n. 3357), si rileva che la Corte territoriale non era tenuto a prendere in considerazione le critiche rivolte alla consulenza tecnica d’ufficio solo nella comparsa conclusionale.

Secondo un principio più volte affermato da questa Corte, infatti, le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale – e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice -, perché in tal modo esse rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale ( Cass. 22- 3-2013 n. 7335; Cass. 6-9-2006 n. 19128; Cass. 1 -7 -2002 n. 9517; Cass. 26-11-1998 n. 11999).

4) Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1134 e 2697 c.c., in ordine all’affermazione secondo cui, vertendo la causa sul diritto di rimborso alle spese anticipate dagli attori, e non sull’accertamento del loro diritto di proprietà, l’eccezione proposta involgeva, comunque, un tema ininfluente.

4 a) il sesto motivo è infondato.

Dalla illustrazione dello stesso motivo di ricorso si evince che solo nella comparsa conclusionale di primo grado il convenuto ha specificamente eccepito la mancanza di prova del diritto di proprietà in capo agli attori.

Correttamente, pertanto, la Corte di Appello ha ritenuto “nuova” e, quindi, inammissibili, la deduzione svolta dall’appellante circa la mancata dimostrazione, da parte degli attori, del loro diritto di proprietà sull’ immobile per cui è causa.

Come si è già rivelato, infatti, l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito della controversia, non è rilevabile d’ ufficio e, pertanto, deve essere tempestivamente fatata valere dalla parte interessata.

E’ evidente d’altro canto, che una simile eccezione, dovendo essere dedotta in modo preciso e circostanziato, non poteva ritenersi compresa nella generica richiesta di rigetto delle domande attoree “ siccome non provate”, contenuta nelle conclusioni della comparsa costitutiva di primo grado (richiamate nel ricorso), che andava, invece, riferita alle specifiche difese e argomentazioni svolte in tale atto difensivo.

4b) il settimo motivo è inammissibile, per le stesse ragioni svolte al punto 1b).

5) Con l’ottavo  motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 345 c.p.c., in ordine alla  ritenuta tardività dell’eccezione relativa alla mancata dimostrazione, da parte degli attori, dell’avvenuto pagamento delle spese sostenute per l’esecuzione dei lavori.

Il motivo è infondato.

Dall’illustrazione del motivo di ricorso si evince che solo nella comparsa conclusionale di primo grado il convenuto ha specificamente dedotto la mancanza di prova, da parte degli attori, dell’avvenuto pagamento delle spese sostenute.

Legittimamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto tardiva l’eccezione relativa alla mancata dimostrazione di tale pagamento, sollevata dal S. con l’atto di appello, con ciò implicitamente escludendo che, in primo grado, vi fosse stata una specifica contestazione sul punto da parte del convenuto.

E, in effetti, la richiesta di rigetto delle domande attrici “siccome non provate”, contenuta nelle conclusioni della comparsa costitutiva di primo grado, non poteva che intendersi riferita alle deduzioni ed eccezioni analiticamente svolte in tale atto dal convenuto, che riguardavano questioni diverse rispetto a quella inerente all’effettivo pagamento, da parte degli attori, delle somme di cui i medesimi hanno chiesto giudizialmente il rimborso. La stessa eccezione di carenza di legittimazione attiva originariamente sollevata in tale atto dal convenuto era basata sul rilievo della intestazione delle fatture a un soggetto diverso ( il Condominio) dagli attori, ma non poneva in discussione il fatto che questi ultimi avessero sostenuto i relativi esborsi.

Si rammenta, al riguardo, che, nel processo di cognizione, l’onere previsto dall’art. 167 c.p.c., comma 1, di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese e di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, comporta che, esaurita la fase della trattazione, non è più consentito al convenuto, per il principio di preclusione in senso causale, di rendere controverso un fatto non contestato, né attraverso la revoca espressa della non contestazione, né deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta  a base delle difese precedentemente svolte ( Cass. 29 – 11 – 2013 n. 26859).

6) Con il nono motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c.. Sostiene che erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto pacifica e non controversa la circostanza dell’avvenuto pagamento delle fatture, in quanto, come si desume dai capitoli di prova articolati dal convenuto, il riconoscimento di quest’ ultimo era limitato all’emissione e al contenuto delle fatture.

Il motivo è inammissibile, proponendo censure che investono direttamente la sentenza di primo grado e non quella di appello.

Com’è noto, al contrario, con il ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello possono essere denunciati soltanto vizi che attengano a tale decisione e non anche vizi che si riferiscono alla sentenza di primo grado ( Cass. 28 – 6-2001 n.8852; Cass. 7-6-2002 n. 8625, Cass. 22- 1-2004 n. 1128; Cass. 23 – 5- 2005 n. 10875).

7) Con il decimo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1134 e 2697 c.c..  Deduce che la Corte di  Appello ha implicitamente esaminato l’eccezione di mancanza di prova del pagamento delle spese, incorrendo nella violazione dell’art. 1134 c.c. e rendendo, comunque, una motivazione insufficiente.

Il motivo è inammissibile, essendo formulato in termini del tutto generici e non cogliendo nel segno della decisione impugnata, che non è scesa nel merito della questione inerente alla sussistenza della prova dell’avvenuto pagamento da parte degli attori, avendo ritenuto tardive le contestazioni mosse al riguardo dal S. nell’atto di appello.

8) Con l’undicesimo motivo, articolato in più censure, il ricorrente deduce: 11.1) – Violazione o falsa applicazione degli artt. 1110 e 1134 c.c. – La Corte di Appello ha errato nell’associarsi alle conclusioni del giudice di primo grado, il quale ha erroneamente accolto la domanda sul presupposto dell’applicazione contemporanea degli artt. 1110 e 1134 c.c., ritenendo gli elementi probatori forniti dagli attori in ordine all’utilità degli interventi di manutenzione dell’edificio (art. 1110 c.c.) sufficienti a provare l’urgenza degli interventi stessi nel senso richiesto dall’art. 1134 c.c..

11.2) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1134 c.c.. Dalla stessa documentazione prodotta dagli attori si evince che, nella specie, non sussisteva il requisito dell’urgenza di cui all’art. 1134 c.c., dato il tempo trascorso tra la richiesta di sopralluogo, la richiesta di un preventivo e la data di inizio dell’esecuzione delle opere.

11.3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1134 c.c. – La Corte di Appello ha dato atto della mera “necessità” di eseguire opere sulle parti comuni dell’edificio, di per sé insufficiente ad attribuire ai condomini che hanno sostenuto le relative spese il diritto al  rimborso ai sensi dell’art. 1134 c.c..

11.4) – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1134 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. – L’urgenza di affrontare spese per le cose comuni di cui all’art. 1134 c.c. non può essere desunta dalle ordinanze emesse dal Sindaco di Reggio Emilia, tutte risalenti nel tempo, che dimostrano solo l’esistenza di un deterioramento della cosa comune e la conseguente necessità di interventi di manutenzione, ma non anche la necessità di un intervento immediato.

Con il dodicesimo motivo il ricorrente denuncia l’omessa o insufficiente motivazione, non avendo la Corte di Appello riferito il contenuto delle ordinanze succedutesi nel tempo, e specificato quali di tali provvedimenti abbiano concorso a fondare il suo convincimento in ordine alla necessità di eseguire i lavori.

8a) Le censure mosse con i motivi in esame, da trattare congiuntamente per la loro stretta connessione, non sono meritevoli di accoglimento.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, per avere diritto al rimborso della spesa affrontata per conservare la cosa comune, il condomino deve dimostrarne l’urgenza, ai sensi  dell’art. 1134 c.c., ossia la necessità di eseguirla senza ritardo, e quindi senza poter avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini (Cass. 23- 4 -2010 n. 9743, Cass. 26- 3-2001 n. 4364; Cass. 4 – 8- 1997 n. 7181).

In applicazione di tale principio, in particolare, nella prima delle citate decisioni la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva  riconosciuto il diritto del condomino al rimborso delle spese sostenute per l’opera di consolidamento del fabbricato condominiale, ritenendole senz’altro urgenti in virtù dell’esistenza di un’ordinanza comunale che aveva imposto l’esecuzione di tali lavori (Cass. 23-4-2010 n. 9743).

Già in una precedente pronuncia, era stato precisato che, in tema di condominio il concetto di spese urgenti, cui si riferisce l’art. 1134 c.c., deve interpretarsi con una certa larghezza ed elasticità, nel senso di comprendervi tutte le spese che comunque appaiono, secondo il criterio di un bonus pater familias, indifferibili allo scopo di evitare il possibile, anche se non certo, nocumento. Pertanto, sono indubbiamente da ritenersi urgenti le spese necessarie per opere la cui esecuzione sia stata ordinata dall’autorità comunale nell’esercizio dei poteri attribuitile dalla legge in materia edilizia (Cass. 21 -1-1996 n. 261).

Nella specie, la Corte territoriale non si è discostata dagli enunciati principi, avendo ritenuto dimostrata dagli attori la necessità di eseguire i lavori in questione, attraverso la produzione delle varie ordinanze sindacali succedutesi nel tempo;

ordinanze con le quali, come è stato dato atto a pag. 4 della sentenza impugnata, “a tutela della pubblica utilità, erano stati imposti gli interventi poi effettuati” e che proprio tale ragione erano state ritenute già dal giudice di primo grado dimostrative dell’urgenza dei lavori.

Non sussistevano, pertanto, le violazioni di legge dedotte con l’undicesimo motivo, nelle sue varie articolazioni, dovendosi – piuttosto rilevare che il ricorrente, nel negare l’esistenza, in concreto, del requisito dell’urgenza richiesto dal menzionato art. 1134 c.c., propone sostanziali censure di merito in ordine alla valutazione espressa al riguardo dal giudice di appello, non censurabile in sede di legittimità, in quanto sorretta da una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

L’accertamento del requisito dell’urgenza, infatti, costituisce tipico apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, il quale, nella specie, ha adeguatamente motivato la sua decisione attraverso il richiamo alle varie ordinanze sindacali succedutesi nel tempo; ordinanze che, per le ragioni esposte, appaiono di per sé dimostrative dell’urgenza degli interventi, nel senso innanzi precisato.

Né con riferimento al dodicesimo motivo, il ricorrente può dolersi della mancata specificazione delle ordinanze sindacali concretamente poste a base del convincimento del giudice del gravame, avendo questi mostrato di aver tenuto conto dell’intera produzione documentale offerta al riguardo dagli attori. Dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso, d’altro canto, non risulta che il S., in appello, avesse contestato specificamente l’efficacia probante di taluna delle ordinanze sindacali ritenute dal giudice di primo grado dimostrative del requisito dell’urgenza; sicchè la Corte territoriale, nel condividere il giudizio espresso dal Tribunale, non era tenuto a motivare in modo più diffuso sul punto.

9) Con il tredicesimo e quattordicesimo motivo il ricorrente, denunciando rispettivamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 e dell’art. 91 c.p.c., si duole della mancata specificazione, da parte del Tribunale, delle spese, competenze ed onorari liquidati in favore degli attori, essendo state le stesse indicate come differenza da quelle del procedimento cautelare, che non sono mai state quantificate esattamente dal giudice di primo grado.

Entrambi i motivi sono inammissibili in quanto le censure mosse risultano sostanzialmente rivolte nei confronti della sentenza di primo grado, senza contestare specificamente le argomentazioni svolte dalla Corte di Appello, la quale, nel disattendere il motivo di gravame proposto dall’appellante in relazione alle spese liquidate dal Tribunale, ha dato atto della indicazione specifica, contenuta nel dispositivo dell’appellante in relazione alle spese liquidate dal Tribunale, ha dato atto della indicazione specifica, contenuta nel dispositivo della sentenza di prime cure, degli importi relativi ai diritti agli onorari e alle anticipazioni.

10) Con il quindicesimo motivo, infine, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Deduce che il Tribunale, nel condannare il convenuto al pagamento di tre distinte somme i favore degli attori, ha vilato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto gli attori avevano chiesto la condanna del S. al pagamento di una unica somma, dagli stessi reclamata congiuntamente, in base all’erronea convinzione dell’esistenza di un’ipotesi di solidarietà attiva. Sostiene che non può trovare accoglimento la tesi della Corte di Appello, secondo cui la tripartizione della somma congiuntamente richiesta dagli attori era da considerare “mera enunciazione a chiarimento della posizione del singolo proprietario rispetto alla cosa comune”.

Il motivo è infondato.

La Corte di Appello ha correttamente escluso la sussistenza della dedotta violazione del principio tra chiesto e pronunciato, rilevando che il Tribunale aveva condannato il convenuto al pagamento della somma indicata dagli attori, e che l’inciso contenente la ripartizione delle spese in base alle quote di spettanza di ognuno doveva considerarsi come “mera enunciazione a chiarimento della posizione del singolo proprietario rispetto alla cosa comune”. E infatti, il dispositivo della sentenza di primo grado reca la condanna del convenuto al pagamento, in favore degli attori, della somma complessiva (Euro 35.173,58) dai medesimi richiesta, pur essendo specificati, tra parentesi, gli importo spettanti a ciascuno di essi. 12) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 maggio 2014.

Il Presidente

Dott. Roberto Michele Triola

 

Il Cons. Est.

Dott. Lina Matera

 

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2014

 

 

 

 

 

 

 

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