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Contratto di lavoro a termine e risoluzione per mutuo consenso

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La mera inerzia del lavoratore, dopo la scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato, non è sufficiente a ritenere sussistente la risoluzione del rapporto per mutuo consenso. E’ necessario verificare la presenza di altri comportamenti significativi nel senso di una chiara e certa comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo. In assenza di tali elementi non può essere pronunciata la risoluzione del rapporto lavorativo per mutuo consenso.

 

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SENTENZA 24068/15

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAOLO STILE                                    – Presidente –

Dott. VITTORIO NOBILE                     – Rel. Consigliere –

Dott. ANTONIO MANNA                           – Consigliere –

Dott. FEDERICO BALESTRIERI                  – Consigliere –

Dott. MATILDE LORITO                              – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 15035-2010 proposto da:

D.D. elettivamente domiciliato in ROMA VIA UGO DE CAROLIS  31, presso lo studio dell’avvocato VITO SOLA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti

  – ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. 97103880585, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’Avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti

    – controricorrente –

 

Avverso la sentenza n. 4801/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/11/2009 r.g.n. 2589/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2015 del Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato SOLA VITO;

udito l’avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRANCESCA CERONI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

            Con sentenza 5689 del 2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma rigettava la domanda proposta da D.D. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra le parti dal 2-10-2000 al 31-1-2001, per “esigenze eccezionali” ex art. 8 ccnl 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97 e succ., con le pronunce conseguenziali.

            Il D. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

            La società si costituiva e resisteva al gravame.

            La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 27.11.2009 respingeva l’appello.

            Per la cassazione di tale sentenza il D. ha proposto ricorso con due motivi.

            La società ha resistito con controricorso.

            Il D. ha inoltre depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

            MOTIVI DELLA DECISIONE

            Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 1372, 2727 e 2729 c.c., il ricorrente lamenta che la impugnata sentenza ha ritenuto sussistente nella specie la risoluzione del rapporto per mutuo consenso tacito sulla base della mera inerzia del lavoratore protratta nel tempo, senza verificare la presenza di altri comportamenti significativi nel senso di una chiara e certa comune volontà della parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo e senza considerare altresì la presenza, invece, di elementi di fatto significativi in senso opposto (come la graduatoria dalla quale erano attinti i nomi degli aspiranti ad una assunzione a tempo determinato, i quali attendevano una eventuale chiamata e come il divieto, in base ad una circolare della società del 26-1-2000, di successive assunzioni per i soggetti che avessero in atto un contenzioso “giudiziale o extragiudiziale” con Poste Italiane).

            Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione sul punto, con particolare riguardo alla evidente situazione di incertezza e di precarietà dei lavoratori in attesa di una chiamata per un periodo lavorativo, nonché di timore di intraprendere eventuali azioni che avrebbero definitivamente precluso ogni prospettiva di un successivo futuro contratto a termine.

            Entrambi i motivi, connessi tra loro, vanno accolti come di seguito.

            Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass- 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, nonché da ultimo Cass. 18-11-2010 n. 233219, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932). La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, “è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. da ultimo Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e tra le altre da ultimo Cass. 1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887) e “la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (v. Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932).

            Tali principi, del tutto conformi al dettato di cui agli art. 1372 e 1321 c.c. e al sistema, sono stati ripetutamente ribaditi da questa Corte (v. da ultimo, fra le tante, Cass. n.ri 3924, 4181, 7282, 7630, 7772, 7773/2015, cfr. anche Cass. 13-2-2015 n. 2906, che, in sostanza, in una fattispecie concreta del tutto “peculiare”, in ragione dell’accertamento di fatto congruamente motivato dalla Corte di merito, ha respinto il ricorso del lavoratore, precisando espressamente che la soluzione adottata “non costituisce un superamento” del “consolidato orientamento di questa Corte di legittimità”).

Va pertanto ulteriormente confermato tale indirizzo consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo ovvero la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto. Al riguardo, infatti, non può condividersi il diverso indirizzo che, valorizzando esclusivamente il “piano oggettivo” nel quadro di una presupposta valutazione sociale “tipica” (v. Cass. 6-7-2007 n. 15264 e da ultimo Cass. 5-6-2013 n. 14209), prescinde del tutto dal presupposto che – come è stato chiarito da Cass. 28-1-2004 n. 1780 – “la risoluzione per mutuo consenso tacito costituisce pur sempre una manifestazione negoziale che in quanto tale, seppure tacita, non può essere configurata su un piano esclusivamente oggettivo”.

Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha ravvisato la risoluzione per mutuo consenso tacito evidenziando la “rilevante lunghezza del periodo di non attuazione del rapporto” (ravvisato in circa quattro anni fino alla notifica del ricorso, non risultando peraltro notificata la precedente istanza ex art. 410 c.p.c. – v. sentenza -), la percezione del t.f.r. “senza riserve”, nonché la “ipotetica” prestazione lavorativa presso terzi “non contestata dal D”.

            Osserva il Collegio che, in effetti tale decisione, a ben vedere, in sostanza è fondata soltanto sull’inerzia del lavoratore e sul mero decorso del tempo, giacché alcuna rilevanza significativa univoca può assumere la percezione del t.f.r. e tanto meno può ritenersi “fatto non contestato” una prestazione lavorativa esplicitamente definita “ipotetica” (sulla necessità, ai fini della applicazione del principio di non contestazione, che le circostanze allegate siano specificate in modo puntuale, così che la controparte possa prenderne posizione, v. fra le altre, da ultimo, Cass. 15-10-2014 n. 21847).

            La Corte di merito, pertanto, ha disatteso l’indirizzo dettato da questa Corte di legittimità ed in sostanza ha omesso di accertare concretamente una volontà chiara e certa delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro, nel contempo trascurando di considerare la situazione di incertezza e di precarietà del lavoratore, nell’attesa di una eventuale successiva assunzione a termine.

Il ricorso va, pertanto, accolto e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale provvederà attenendosi all’indirizzo qui ribadito e statuirà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

            La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Roma 22 ottobre 2015

 

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

Vittorio Nobile

IL PRESIDENTE

Paolo Stile

 

 

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

ROMA 25 nov 2015

 

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