dell'avvocato Vito Sola, patrocinante in Cassazione

phone icon06.35454548 / 06.35428127 (fax)
addrVia Ugo De Carolis, 31, 00136, Roma
divider

Illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi

separator

/ 0 Commenti /

Il Giudice di merito interviene sull’illegittima applicazione dei tassi di interessi calcolati in misura ultralegale, intesa come capitalizzazione trimestrale degli stessi nonché delle relative spese e commissioni non preventivamente concordate, ove non sussiste una valida pattuizione che possa riferirsi al rapporto di conto corrente bancario. Specificando che, qualora il saggio degli interessi è ultralegale, questo deve essere previsto con apposita pattuizione scritta come stabilito dall’art. 1284 comma 3 c.c., successivamente dagli artt. 3 e 4 della legge 154/1992 ed infine dall’art 117 D.Lgs. 385/1993. In caso contrario, in  assenza di pattuizione scritta in ordine al tasso di interesse in misura ultralegale, ovvero in presenza di una clausola nulla, si applicano gli interessi nella misura prevista dalla legge.

Con riferimento all’anatocismo, l’art. 7 del contratto bancario richiamato dal correntista prevedeva per gli interessi debitori del cliente la capitalizzazione trimestrale mentre per quelli della Banca la capitalizzazione annuale. Per decenni la Giurisprudenza ha ritenuto valida detta clausola, che rilevava l’esistenza di un uso normativo legittimante la capitalizzazione trimestrale ai sensi dell’art. 1283 c.c.. Successivamente, negli anni 90, detto indirizzo giurisprudenziale è stato abbandonato dalla Suprema Corte di Cassazione, che ha sancito la nullità della clausola in esame. Il ragionamento seguito dalla Suprema Corte si basa su una serie di considerazioni tra le quali; 1) il divieto di anatocismo e precisamente la produzione di interessi sugli interessi, salvi gli usi contrari, così come sancito dall’art. 1283 c.c., ove detti “usi contrari” sono esclusivamente quelli  normativi  di cui agli artt. 1 e 8 delle disposizioni preliminari al c.c. e non gli usi negoziali di  cui all’art. 1340 c.c., i quali, sono sempre fonte subordinati alla legge. Gli usi negoziali potranno derogare alla legge  solo se formatisi prima della medesima; 2) per usi normativi si intende la ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento, accompagnata dalla convinzione che si tratti di un comportamento giuridicamente obbligatorio e cioè conforme ad una norma che esiste o che si ritiene debba esistere  nell’ordinamento  (la opinio iuris ac necessitatis); 3) considerato che non esiste un uso normativo legittimante la capitalizzazione  trimestrale degli interessi nei rapporti bancari, sia da un punto di vista oggettivo (perché tale clausola è stata prevista per la prima volta nelle norme bancarie uniformi del 1952) sia da un punto di vista soggettivo (perché l’anatocismo è consentito dai clienti delle banche non nella consapevolezza di esservi vincolati da una norma giuridica ma solo in quanto la relativa clausola è compresa nei moduli predisposti dal contraente forte, istituto di credito).

Ed ancora, ai fini della decisione emessa dal Tribunale di Napoli, si è tenuto conto della delibera del CICR del 9.2.2000, entrata in vigore il 22.4.2000, che ha provveduto ad eseguire le direttive di cui all’art 25, comma 2 d.lg. 342/99, stabilendo, in particolare, che:1) in tutti i rapporti deve essere indicata la periodicità di capitalizzazione degli interessi; 2) le clausole di capitalizzazione degli interessi devono essere approvate specificamente per iscritto, ai sensi dell’art 1341 c.c. ; 3) nei rapporti di conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nella capitalizzazione degli interessi creditori e debitori.

Inoltre, esclusa la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (per il primo periodo in esame), il ricalcolo delle somme dovute alla banca non puo’ avvenire, come pur sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito, adottando la capitalizzazione annuale, non potendosi procedere a capitalizzazione alcuna. Come affermato, infatti, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, dichiarata la nullità della previsione negoziale della capitalizzazione trimestrale, per il contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 osterebbe anche a una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale e perché nemmeno potrebbe essere ipotizzato come esistente, un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza.

Studio Legale Avv. Vito Sola
tel. 06.35.45.45.48 ~ fax 06.35.42.81.27
email: segreteria@studiolegalesola.it
Via Ugo De Carolis 31 ~ 00136 Roma

 

SENTENZA 31 GENNAIO 2014 N. 1557

REPUBBLICA ITALIANA

In Nome Del Popolo Italiano

TRIBUNALE DI NAPOLI

Sesta sezione Civile

in persona del giudice unico: dott.ssa Barbara di Tonto

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 11433 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2008 avente ad

OGGETTO: CONTRATTI BANCARI

TRA

XXX S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Napoli, presso lo studio dell’avv. Ca. Fo. dal quale è rappresentato e difeso giusta procura e mandato a margine della citazione;

ATTORE

YYY SPA, in persona del legale rapp.te p.t., elettivamente domiciliata in Napoli alla Piazza (…) a Pizzofalcone, presso lo studio  dell’avv. Ni Ro. di T. dal quale è rappresentato e difeso giusta procura e mandato in calce alla memoria di nomina di nuovo difensore del 03.04.2013,

CONVENUTO

CONCLUSIONI

parte attrice ha così concluso: “accogliere la domanda attorea, in quanto fondata e provata e, per l’effetto, condannare la YYY alla restituzione, in favore dell’attrice, della somma di Euro 245.564,25 come determinata dal C.T.U., oltre interessi e rivalutazione monetaria;

condannare  il convenuto istituto di credito al pagamento di spese, diritti ed  onorari di causa in favore dello scrivente procuratore, dichiaratosi antistatario”;

parte convenuta ha concluso per la dichiarazione di illegittimità, inammissibilità e nullità della formulata domanda oltre che per il rigetto, nel merito, della stessa anche in dipendenza della intervenuta prescrizione, con vittoria di spese di lite.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La presente sentenza viene redatta in conformità a quanto disposto dal nuovo testo dell’art. 132 c.p.c., così come modificato dalla legge 18 giugno 2009 n. 69 (pubblicata sulla G.U. n. 140 del 19 giugno 2009 ed in vigore dal 4 luglio 2009), mediante la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, omettendo lo svolgimento del processo.

Parte attrice ha convenuto in giudizio la YYY S.p.A. al fine di ottenere la ripetizione dell’indebito con riferimento a somme introitate dalla banca in ragione dell’illegittima applicazione di tassi di interessi in misura ultra legale (senza valida pattuizione), con una capitalizzazione trimestrale degli stessi nonché di spese e commissioni non preventivamente concordate e con valutazioni fittizie, avuto riguardo al rapporto di conto corrente bancario n (….), originariamente acceso presso la Cassa di Risparmio …, Agenzia Napoli 1, ed in seguito condotto, per le vicende che hanno interessato l’Istituto, presso la filiale n.(…) di Napoli – Via (….), della YYY S.p.A.

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di nullità dell’atto di citazione come sollevata dalla convenuta Banca per essere assolutamente incerti e generici sia la “causa petendi” che il “petitum processuale”. L’assoluta incertezza indicata dalla società convenuta non appare, secondo questo giudice ravvisabile. Va premesso, infatti che la convenuta si è costituita in giudizio mediante deposito di una comparsa di svariate pagine contenenti tra l’altro una pertinente difesa nei confronti della pretesa di ripetizione dell’ indebito avanzata dalla XXX S.p.A.. Da tale dato risulta evidente che le argomentazioni difensive svolte dalla società attrice in citazione a sostegno della spiegata domanda non erano affatto generiche, illustrando in maniera compiuta gli approdi dottrinali e giurisprudenziali raggiunti con riferimento alle tematiche di frequentissima trattazione nell’ambito del cosiddetto contenzioso bancario. Anche in relazione poi all’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda (requisito di cui al n. 4 dell’art.163 c.p.c.), l’istante ha specificamente indicato il rapporto oggetto delle spiegate contestazioni e si riflette esclusivamente sul versante dell’onere probatorio quello di fornire dimostrazione dell’assunta attività illegittima posta in essere dalla convenuta Banca. Inoltre, la riconducibilità dell’insorgere del rapporto bancario ad epoca risalente alla metà degli anni 90, seppure con un’indicazione di massima, consente in ogni caso l’individuazione del regime applicabile ai vari istituti, così escludendo l’assoluta incertezza dei fatti in esame. Nel merito, la domanda è fondata e merita accoglimento nei limiti e per le motivazioni di seguito indicate.

Ed invero, la società istante ha chiesto, in via principale, in comparsa conclusionale la condanna della convenuta Banca alla restituzione dell’importo di Euro 245.564,25 (riducendo in tal modo l’importo dell’originaria pretesa restitutoria). Considerando invece la esatta risultanza dei calcoli effettuati dall’ausiliare del giudice nella ipotesi n. 2 del relativo conteggio, per cui alla data del 31.12.2007 il conto corrente de quo, in funzione del ricalcolo effettuato, rappresenta un saldo creditore a favore del correntista pari ad Euro 97.768,95 (contro la risultanza da estratto conto banca, che evidenziava un saldo debitore per il correntista, in pari data, pari a Euro 147.793,30 comprensivo di interessi di periodo, debito che non risulta essere stato estinto dalla società attrice), la convenuta va condannata, alla restituzione della predetta ed indicata minor somma; il CTU invero è pervenuto a determinare il suddetto importo a favore della società correntista, mediante una ricostruzione contabile che ha tenuto conto di quanto pattuito tra le parti, “della periodicità di capitalizzazione semplice degli interessi dal 30.10.1995 al 30.06.2000, e trimestrale dal 01.07.2000 in poi, dell’applicazione di tassi attivi e passivi per il correntista come risultanti da estratti conto a partire dal 10.10.2000 e tassi BOT dal 30.10.1995 al 09.10.2000; dell’applicazione di tutte le altre condizioni di tenuta conto come risultanti da estratto conto”. I criteri in questione appaiono quelli corretti per le ragioni di seguito esposte ed illustrate. Ed invero il saggio degli interessi, ove ultralegale, deve essere previsto con apposita pattuizione scritta come stabilito dall’art. 1284 comma 3 c.c., successivamente dagli artt. 3 e 4 della legge 154/1992 ed infine dall’art 117 D. Lgs. 385/1993. In assenza di pattuizione scritta in ordine al tasso di interessi in misura ultralegale, ovvero in presenza di una clausola nulla, si applicano gli interessi nella misura prevista dalla legge. In tal senso il ricalcolo effettuato dall’ausiliario, sulla scorta del quesito affidatogli del Giudice dell’epoca, appare corretto in quanto nelle schede sottoscritte tra le parti del 1995 e del 1997 all’articolo 7, tra l’altro, si pattuisce che “gli interessi dovuti dal correntista alla C.A. si intendono determinati nella misura indicata nella scheda condizioni allegata al presente contratto, di cui costituisce parte integrante, e producono a loro volta interessi  nella stessa misura”, tale documento (scheda condizioni) non risulta in atti per cui, non essendovi prova di idonea pattuizione scritta deve applicarsi il tasso sostitutivo di legge. Dal 10.10.2000, invece, si rileva idonea pattuizione scritta degli interessi e delle altre condizioni che regolano il rapporto tra le parti, come da “lettera di accettazione di affidamento”, su tre pagine, in data 10.l0.2000, con regolare sottoscrizione dell’affidato.

E’ noto, infatti, che ai sensi dell’art.117 primo e secondo comma T.U.B. i contratti bancari devono essere stipulati per iscritto e detta forma è richiesta ad substantiam, ancorchè tutte le nullità possano essere invocate dal solo cliente (regime delle nullità relative). Orbene, il criterio sostitutivo legale di cui al sesto comma dell’art. 117 è espressamente previsto per le ipotesi di nullità indicate dal quarto comma (“I Contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in causa di mora”) e dal sesto comma (“Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”), attualmente rinumerato quinto comma. In sostanza il Legislatore ha previsto l’integrazione del contratto secondo le modalità di cui al  comma VII solo per le ipotesi di nullità afferenti alla misura dei tassi e non con riguardo al contratto nullo nella sua integrità per il suesposto vizio di forma. Nel caso in esame, come sopra rilevato, vi è il contratto scritto di apertura del conto corrente ma manca idonea ed espressa pattuizione dei tassi di interesse per i quali si rimandava a “schede” non rinvenute in atti: in conseguenza di tanto si è calcolato il predetto tasso sostitutivo come da CTU in atti. Con riferimento all’anatocismo, il già richiamato art. 7 del contratto sopra indicato prevedeva per gli interessi debitori del cliente la capitalizzazione trimestrale e per quelli della Banca la capitalizzazione annuale. Per diversi decenni tale clausola è stata ritenuta valida dalla Giurisprudenza che rilevava l’esistenza di un uso normativo legittimante la capitalizzazione trimestrale ai sensi dell’art. 1283 c.c.. Negli anni 90 detto indirizzo giurisprudenziale è stato abbandonato dalla Suprema Corte di Cassazione, che ha affermato la nullità della clausola in esame sostenendo, in senso contrario, l’inesistenza di tale uso normativo (Cass. 30.3.1999 n. 3096; Cass.,16.3.1999 n. 2374; Cass.,11.11.1999 n. 12507, e, pressochè definitivamente Cass. Sez. Un., 4.11.2004 n. 21095). Il condivisibile  ragionamento seguito dalla Suprema Corte è fondato sui seguenti punti: a) l’art. 1283 c.c. prevede il generale divieto di anatocismo e cioè della produzione di interessi sugli interessi, salvi gli usi contrari; b) tali “usi contrari” sono esclusivamente quelli  normativi, di cui agli artt. 1 e 8 delle disposizioni preliminari al c.c. e non gli usi negoziali di  cui all’art. 1340 c.c.; i quali, pertanto potranno derogare alla norma di legge solo se formatisi prima della medesima, altrimenti sottostando al principio per cui gli usi sono fonte sempre subordinata alla legge; c) gli usi normativi consistono nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento, accompagnata dalla convinzione che si tratti di un comportamento giuridicamente obbligatorio e cioè conforme ad una norma che esiste o che si ritiene debba esistere  nell’ordinamento  (la opinio iuris ac necessitatis), d) non esiste un uso normativo legittimante l’anatocismo trimestrale nei rapporti bancari, sia da un punto di vista oggettivo (perché tale clausola è stata prevista per la prima volta nelle norme bancarie uniformi del 1952) sia da un punto di vista soggettivo (perché l’anatocismo è consentito dai clienti delle banche non nella consapevolezza di esservi vincolati da una norma giuridica ma solo in quanto la relativa clausola è compresa nei moduli predisposti dal contraente forte, istituto di credito).

 A partire dall’entrata in vigore della nota delibera CICR 9.2.2000 (di cui si dirà a breve) si è sostenuto che la capitalizzazione trimestrale degli interessi deve reputarsi legittima. In proposito, va ricordato che dopo le prime pronunce della Cassazione in tema di nullità della clausola di anatocismo trimestrale delle competenze, è iniziata una travagliata vicenda normativa, in virtù della quale l’art. 25, comma III, del D.lgs. n. 342/1999 ha previsto la validità ed efficacia retroattiva delle “clausole relative alla produzione degli interessi sugli interessi  maturati contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma II”. Tale norma, tuttavia, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per eccesso di delega in contrasto con l’art. 77 Cost. da Corte Costituzionale n. 425 del 17.10.2000. Il CICR ha provveduto, con la citata delibera del 9.2.2000, entrata in vigore il 22.4.2000, ad eseguire le direttive di cui all’art. 25, comma 2 d.lg. 342/99, stabilendo, in particolare, che:1) in tutti i rapporti deve essere indicata la periodicità di capitalizzazione degli interessi; 2) le clausole di capitalizzazione degli interessi devono essere approvate specificamente per iscritto, ai sensi dell’art. 1341 c.c. ; 3) nei rapporti di conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nella capitalizzazione degli interessi creditori e debitori. Ne consegue che, nel rispetto di tali previsioni contrattuali, dall’1.7.00 – data indicata nella stessa delibera del CICR – l’introduzione di una clausola anatocistica per i nuovi contratti deve ritenersi legittima. Per i contratti in corso è stato ritenuto ammissibile l’adeguamento alle nuove disposizioni entro il 30 giugno 2000 (art. 7 della delibera CICR) semplicemente procedendo alla pubblicazione sulla G.U. delle modifiche delle condizioni contrattuali necessarie per adeguarsi alla normativa sopravvenuta ed informando per iscritto il cliente circa l’assolvimento di tale formalità. Secondo tale tesi essendo reciproca la capitalizzazione trimestrale, la clausola non sarebbe sfavorevole al cliente perché consente l’adeguamento mediante pubblicazione in G.U. e comunicazione scritta al cliente delle nuove condizioni contrattuali non peggiorative del cliente.

Va, altresì, dato atto dell’esistenza del diverso orientamento secondo il quale in ogni caso sarebbe necessaria una modifica scritta del contratto, non potendo la banca modificare unilateralmente l’assetto negoziale attraverso gli adempimenti indicati.

Nel caso di specie, l’adeguamento di cui all’art. 7 della delibera CICR trova applicazione, atteso che la convenuta banca ha dimostrato di aver proceduto alla pubblicazione in G.U. delle nuove condizioni nel termine indicato (cfr. GU 29.06.2000 N. 150 in atti). Esclusa la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi (per il primo periodo in esame), il ricalcolo delle somme dovute alla banca non puo’ avvenire, come pur sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito, adottando la capitalizzazione annuale, non potendosi procedere a capitalizzazione alcuna. Come affermato, infatti, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi  in un apertura di credito in conto corrente, per il contrasto con il divieto di anatocismo sancito dall’art. 1283 c.c., gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare capitalizzazione alcuna, perché il medesimo art. 1283 osterebbe anche a una eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale e perché nemmeno potrebbe essere ipotizzato come esistente, un uso, anche non normativo, di capitalizzazione con quella cadenza (Cass., Sez. Un. 2.12.2010 n. 24418). Conseguentemente, la ricostruzione della movimentazione contabile del rapporto di conto corrente oggetto di causa andava eseguita con l’esclusione di ogni forma di capitalizzazione delle competenze dall’insorgere del rapporto di conto corrente sino alla data dell’entrata in vigore della prefata delibera CICR del 2000, come esattamente effettuato dalla CTU, e di seguito applicando la pari periodicità, trimestrale, della capitalizzazione degli interessi. In definitiva, tenuto conto delle risultanze contabili della espletata consulenza  tecnica d’ufficio, esente da critiche in ordine non solo ai criteri matematici adottata ma anche in relazione ai dati numerici delle tabelle come elaborate e sottoposte dal C.T.U. al vaglio critico delle parti, va ritenuto per accertato, alla data del 31.12.2007, un saldo attivo in favore del correntista pari ad euro 97.768,95. Ciò posto l’ultima questione da affrontare è quella relativa alla eccepita prescrizione. Sul punto, con la recente sentenza n. 78 del 5 aprile 2012, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. 29 dicembre 2010 n. 225, norma che, nella sua prima parte, disponeva che in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, l’art. 2935 c.c. doveva interpretarsi nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto iniziava a decorrere dal giorno dell’ annotazione stessa. A seguito di tale pronuncia, il tema della prescrizione in esame va ricondotto ai principi generali e,  a tal proposito, va ricordato l’approdo giurisprudenziale della già citata sentenza a Sezione Unite n. 24418/2010. Secondo tale arresto, qualora, dopo la cessazione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisca per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale, cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre, ove i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo la funzione ripristinatoria della provvista, dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto in cui sono stati registrati gli interessi non dovuti. I versamenti eseguiti dal correntista in tanto possono essere considerati alla stregua dei pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accade qualora si tratti di versamenti eseguiti su conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire“ scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’ accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti di conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. Nel caso di specie, va evidenziato che la citata scrittura del 24/10/1995 non prevede alcuno specifico affidamento disposto in favore della società istante, limitandosi all’articolo 6 esclusivamente a  regolamentare  le eventuali aperture di credito concesse dalla banca. D’altra parte, l’entità delle somme movimentate sul conto corrente in passivo, quale emerge dalla CTU in atti e dall’esame degli estratti conto, induce a ritenere che la banca si sia obbligata a tenere a disposizione della correntista, che aveva  la possibilità di disporre di essa in qualsiasi momento, una consistente somma di denaro.

Ed in effetti già dall’analisi del primo estratto conto bancario al 31.12.1995, si evincono i saggi di interessi passivi applicati sino alla concorrenza di Lire 600.000.000 e oltre tale limite. Tale misura di affidamento era confermata nella scrittura sottoscritta tra le parti in data 10.10.2000.

Orbene, ad avviso del Giudicante, grava sulla banca l’onere di allegare, oltre al mero decorso del tempo, l’ulteriore circostanza dell’avvenuto  superamento, ad opera del cliente, del limite dell’affidamento. Infatti, tale dato costituisce il fondamento del fatto estintivo della pretesa azionata in giudizio dall’attore, dal momento che, come innanzi detto, solo nelle operazioni extra – fido può ravvisarsi un’attività solutoria, con decorso della prescrizione dalla data del versamento. In ragione di tanto era, quindi, onere della parte convenuta allegare e provare il superamento del citato limite, con la conseguenza che, in difetto, l’omessa prova o il dubbio risultante all’esito dell’istruttoria deve necessariamente ricadere, in applicazione dei criteri di riparto di cui all’art. 2697 c.c., sulla parte eccipiente.

Conseguentemente, va riconosciuto ai versamenti eseguiti dalla società istante mera funzione ripristinatoria della provvista concessa tramite affidamento, ragion per cui non può reputarsi maturata prescrizione alcuna circa il credito maturato di ripetizione dell’indebito, risultando la domanda giudiziale proposta entro il decennio dalla data di estinzione del conto (conto, peraltro, ancora attivo alla data di notifica della citazione). La domanda avanzata dall’attrice va, pertanto, accolta per quanto di ragione, con condanna della YYY S.p.A. al pagamento, in favore della XXX della somma di ? 97.768,95, oltre interessi al tasso legale dal 18.03.2008 (data di proposizione della domanda), stante la mancata dimostrazione della mala fede della banca (e ciò soprattutto alla luce della considerazione che il rapporto ebbe inizio in epoca antecedente ai mutamenti giurisprudenziali in precedenza esposti).

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano d’ufficio come da dispositivo, ai sensi del D.M. Giustizia 20.7.2012 n. 140 (pubb. nella G.U., Serie  Generale, 22.8.2012 n. 195), applicabile anche alle cause già pendenti (art. 41: “ Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”; art. 42: “il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.”;cfr., altresì, l’art. 9, d.l. 24.1.2012, n.1, come sost. dalla l. di conversione, l. 24.3.2012, n. 27) con attribuzione ex art. 93 c.p.c all’avv. Ca. Fo. che se ne è dichiarato anticipatario.

Le spese di CTU, come liquidate in atti, vengono poste in via definitiva a carico del convenuto soccombente, con onere del predetto convenuto di tenere indenne e restituire a parte attrice le somme tutte eventualmente a tale fine anticipate per la consulenza tecnica.

P. Q. M.

Il Tribunale di Napoli, VI sezione civile, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni  contraria istanza ed eccezione disattesa così provvede:

–        in parziale accoglimento della domanda, condanna la Banca YYY S.p.A. alla restituzione in favore della XXX S.p.A. della complessiva somma di euro 97.768,95, oltre interessi al tasso legale dal 18.3.2008 sino all’effettivo soddisfo;

–        Condanna la YYY S.p.A. al pagamento delle spese di giudizio in favore di parte attrice, liquidate in euro 1.000,00 per spese ed euro 7.500,00 per compensi, oltre accessori nella misura prescritta dalla legge, con attribuzione ex art. 93 c.p.c. al procuratore costituito.

–        Pone in via definitiva le spese di CTU a carico del convenuto soccombente.

 Così deciso in Napoli il 20 gennaio 2014.

 

Il Giudice

Dr.ssa Barbara Di Tonto

 

Depositata in cancelleria il 31 gennaio 2014

 

separator