dell'avvocato Vito Sola, patrocinante in Cassazione

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Pluralità di mediatori e diritto alla provvigione

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La sentenza ripercorre la giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha portato alla formulazione del principio che, in materia di mediazione, il diritto alla provvigione nel caso in cui l’affare si sia concluso tramite l’intervento di più mediatori sorge in capo a ciascun mediatore laddove il suo apporto sia causale alla successiva realizzazione dell’affare.

La Corte d’Appello, confermando la sentenza emessa in primo grado, ammette la sussistenza del diritto del mediatore al pagamento della provvigione, nonostante l’intervento successivo di un secondo mediatore con il quale è stato poi stipulato il contratto di compravendita del bene oggetto di mediazione. La Cassazione, infatti, sottolinea come l’intervento di un secondo mediatore non interrompe il nesso di causalità tra l’attività del primo mediatore e la conclusione dell’affare (Cass. Ord. n. 869/2018).

Per la corresponsione del diritto alla provvigione, secondo costante giurisprudenza, tra cui, ex multis¸ Cass. n. 25851/14, n. 12527/10, n. 5952/05, non è necessario che si giunga alla conclusione concreta dell’affare ma è sufficiente ricoprire un ruolo decisivo e causale nella stessa. Occorre, dunque, che il mediatore metta in relazione la volontà delle parti, pur in un processo complesso ed articolato nel tempo, e che tale relazione sia l’antecedente indispensabile per la conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata.

Nel caso di specie, infatti, gli acquirenti, odierni appellanti, avevano avviato le trattative per la compravendita di un immobile tramite un primo mediatore, odierno appellato, e, formulata inutilmente una prima proposta di acquisto, si erano rivolti ad un secondo mediatore con il quale concludevano l’affare. La Corte d’Appello ha rilevato come tramite l’apporto causale del primo mediatore si sia realizzato nell’avviare i contatti tra le parti, inclusa una prima visione dell’immobile ad opera dei futuri acquirenti, e che abbia trovato massima concretizzazione nella formulazione di una proposta d’acquisto, pur non accettata dal venditore.

Non rileva, infatti, quale fattore escludente del nesso di causalità tra le due attività di mediazione, la situazione per cui la proposta formulata, e accettata, avesse quale contropartita un prezzo di poco differente dal primo, nè tantomeno essendo sufficiente un unico elemento di differenziazione ad interrompere il nesso causale tra le due attività prodromiche di mediazione.

Quanto attiene, invece, ai profili di liquidazione della provvigione del primo mediatore, l’art. 1755 c.c. richiama, genericamente, il principio dell’equità secondo il quale la provvigione si calcola sull’importo versato in favore del secondo mediatore, ovvero colui il quale ha portato alla conclusione dell’affare. In assenza di criteri di individuazione del corrispettivo della mediazione, siano essi l’indicazione di un prezzo fisso o di canoni per la determinazione dello stesso, la Corte applica il criterio di determinazione dell’importo nel 50% del compenso corrisposto all’altro mediatore.

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SENTENZA 2878/2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

SECONDA SEZIONE CIVILE

 

Composta dai Sigg.ri Magistrati

Dott. BUONOMO Giovanni              Presidente

Dott. PUOTI           Maria Enrica        Consigliere

Dott. DELLE DONNE Maria  Consigliere rel.

 

riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 4842 del registro generale degli affari contenziosi dell’anno 2014, passata in decisione all’udienza del 3 maggio 2018 e vertente tra

TRA

S.L. , (C.F……..) e S.A. (C.F……), rappresentati e difesi dall’Avv. M.F. giusta delega in atti;

APPELLANTI

A.P., (C.F…….), rappresentato e difeso dall’Avv. Vito Sola giusta delega in atti;

APPELLATO

FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA

  • 1 – La vicenda che ha dato origine alla lite è stata così narrata nella sentenza impugnata:

“Con ricorso depositato il 9 settembre 2018 A.P. ha chiesto al tribunale civile di Roma di ingiungere ai signori S.L. e S. A. il pagamento della somma di € 18.400,00 oltre interessi legali a titolo di provvigione ex art. 1755 c.c. Con decreto n. 21510/08 emesso il 3 dicembre 2008 il Tribunale Civile di Roma ha ingiunto a L. ed A. S. il pagamento di € 18.400,00 oltre interessi come richiesti, unitamente alle spese del procedimento monitorio con lo stesso decreto liquidate. Con citazione regolarmente notificata gli intimati hanno proposto opposizione avverso detto decreto (ad essi notificato il 30 luglio 2007) eccependo la carenza di legittimazione passiva, l’insussistenza del diritto del mediatore al pagamento della provvigione e chiedendo la revoca del decreto opposto. Si costituiva l’opposto respingendo le avverse eccezioni ed insistendo sulla legittimità della domanda, nonché sull’attività di mediazione regolarmente svolta in favore degli opponenti e chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto.”

 

  • 1.1 – Il tribunale, espletata l’istruttoria necessaria, ha rigettato l’opposizione e – constatato il minor credito dell’opposto – ha revocato il decreto ingiuntivo condannando gli opponenti al pagamento in di A.P. della somma di € 4.900,00 oltre oneri di legge e ha compensato le spese di lite tra le parti.

 

  • 1.2 – A fondamento della decisione, il primo giudice ha posto le seguenti considerazioni:

“[…] L’opposto ha agito nei confronti di L. e A. S. per il pagamento della provvigione maturata per la conclusione dell’affare relativo alla compravendita dell’immobile sito in Roma, Via V. n. x. sul presupposto che la compravendita intervenuta fra la proprietaria signora A.A.P. e l’acquirente S.A. quale amministratore unico della I.S. Srl, fosse la formalizzazione dell’affare trattato per il tramite di A.P. che, giusto mandato a vendere conferitole dalla signora P., aveva fatto visitare l’immobile ai signori S. e aveva presentato alla venditrice una proposto di acquisto formulata da L.S. nel corso della trattativa. Gli opponenti hanno chiesto il rigetto della domanda assumendo che l’immobile fosse stato acquistato dalla società I.S., di qui l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, e che l’acquisto dell’immobile fosse avvenuto da parte della società per il tramite di altra agenzia alla quale è stata corrisposta la provvigione. […] Passando al merito, dall’esame della documentazione in atti e dalle dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio formale si può con certezza affermare che la conclusione dell’affare avvenuta tra la signora A.A.P. e l’acquirente S.A. quale amministratore unico della I.S. Srl possa ricollegarsi all’opera svolta dal mediatore; il fatto che la prima proposta di acquisto sia stata formulata da S.L. e sia stata rifiutata dalla venditrice non esclude l’identità dell’affare in considerazione del collegamento tra il soggetto che partecipa alle trattative ed il soggetto che partecipa alla stipula negoziale. La proposta formulata  da L.S. e rifiutata dagli acquirenti non ha carattere autonomo, né definitivo ma si inserisce nell’ambito di un iter contrattuale che ha visto, poco dopo, coinvolti gli stessi soggetti che hanno concordato i termini dell’accordo in due giorni e stipulato l’atto di compravendita ad un prezzo di poco più alto. La seconda proposta è stata formulata per il tramite dello Studio D.S. snc dalla S.I. in persona del signor L.S. In tema di contratto di mediazione l’affare deve ritenersi concluso, per l’effetto della “messa in relazione” da parte del mediatore, quando la sua attività  costituisca l’antecedente necessario per pervenire anche attraverso fasi e atti strumentali alla conclusione dell’affare (senza attribuire rilievo ostativo al fatto che le parti non si siano mai incontrate nel corso delle trattative) e rimanendo irrilevante che le parti originarie sostituiscano altri a se nell’operazione conclusiva (Cass. 21 maggio 2010, b, 12527). Alla luce delle argomentazioni l’opposizione  deve essere rigettata, il mediatore P.A. ha diritto al compenso provvisionale che, in considerazione della partecipazione di altro agente, va calcolato nella misura pari al 50% di quello percepito dallo Studio D.S. snc e, pertanto pari ad € 4.900,00 oltre oneri di legge. L’opposizione  deve essere rigettata, il decreto ingiuntivo deve essere revocato e gli opponenti devono essere condannati al pagamento in favore dell’opposto della somma di € 4.900,00 oltre oneri di legge ed interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza. Sussistono i gravi motivi per compensare integralmente fra le parti le spese processuali”.

 

  • 2 – Hanno proposto appello S.L. e S. A. contestando la sentenza di primo grado sotto vari profili.

Ha resistito A.P. chiedendo il rigetto dell’appello.

 

  • 2.1 – All’udienza indicata in epigrafe le parti hanno precisato le conclusioni e La Corte ha deciso la causa, all’esito della discussione orale, mediante lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ai sensi dell’art. 351, quarto comma, c.p.c.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

  • 3 – Giova preliminarmente una sia pur breve ricostruzione della vicenda per cui è giudizio.
  1. e A. S., per il tramite di A.P., visionavano più volte, dal mese di settembre del 2006, l’appartamento sito in Roma, Via V. n.xx di proprietà della A.A.P. e, in data 02.11.06, il solo L. S. formulava proposta di acquisto, successivamente rifiutata, alla venditrice.

Nel dicembre 2006, mediante lo Studio D.S. S.n.c., gli appellanti proponevano un’altra offerta (doc.2 fasc. appellanti) alla venditrice P., con la quale, infine, stipulavano il preliminare di vendita (doc. 5 fasc. appellanti) e poi il successivo atto definitivo di compravendita a rogito del notaio R. in data 29.05.07 (doc. 3 fasc. appellanti).

 

  • 3.1 – L’odierno appello è articolato in due motivi.

Col primo motivo gli appellanti reiterano l’eccezione sul difetto di legittimazione passiva di A.S., lamentando che il giudice ha erroneamente ricostruito il fatto ed interpretato non correttamente le risultanze probatorie sicchè ha ingiustamente ritenuto di condannare A.S. in solido con il figlio al pagamento di quanto richiesto dall’opposto e odierno appellato omettendo così di sulla eccezione suddetta e di spiegare le ragioni per cui S.A. era da ritenersi coobbligato in solido con S.L.

In particolare, gli appellanti lamentano che il tribunale non si sarebbe pronunciato sulla estraneità di S.A. al rapporto di mediazione intercorso esclusivamente fra il di lui figlio (L.S.) e A.P., non avendo il padre A.S. partecipato all’atto di compravendita  a rogito del notaio R. del 23.05.2007 in proprio, ma solo nella qualità di amministratore della società S.I. Srl e non avendo egli mai intrattenuto alcun “rapporto giuridico o giuridicamente rilevante” con l’appellato, evidenziando di essere a conoscenza della vicenda e delle trattative intercorse fra S.L. e A.P. solo grazie alla informazioni assunte dal figlio, essendo quindi solo un mero delegato di L.S. e avendo partecipato alla vicenda solo de relato.

Secondo gli appellanti, poi, sarebbero oscure le motivazioni in base alle quali il Tribunale ha riconosciuto fondato il diritto alla provvigione richiesto da A., pur avendo rilevato che l’operazione era stata conclusa da A.S. e non più dall’originario proponente.

 

  • 3.2 – Il secondo motivo è articolato in due diversi profili di doglianza afferenti alla medesima pretesa, ovvero il diritto alla provvigione riconosciuto all’appellato e la sua quantificazione.

Gli appellanti sostengono che il giudice di prime cure sarebbe incorso in errore laddove ha ritenuto dovuto un compenso al mediatore rilevando l’identità dell’affare oggetto dell’attività svolta prima dall’A. (che ha portato alla formulazione della prima proposta poi rifiutata dalla venditrice) ed poi dallo studio D.S. snc (che ha portato poi alla stipulazione del contratto di compravendita a rogito del notaio R. del 23.5.07 v. doc. 3 in primo grado).

Il Tribunale, secondo gli appellanti, avrebbe erroneamente valutato le risultanze probatorie sostenendo proprio che il rifiuto della prima proposta  formulata da L.S. (doc.1) “non escluda l’identità dell’affare in considerazione del collegamento tra il soggetto che partecipa alle trattative ed il soggetto che partecipa alla stipula negoziale” (pag. 3, righe 26/30 della sentenza gravata), formando il proprio convincimento sulla interpretazione della giurisprudenza maggioritaria (Cass. 12527/2010), citata, però, solo frammentariamente nonché sulle dichiarazioni dei testi (nello specifico di A.P., venditrice dell’immobile sito in Roma Via V. n. xx, sui capitoli 3,4 e 5 così come articolati nell’atto di introduttivo degli attori-in relazione al fatto che la prima proposta, formulata da A. per conto di L.S., non è stata mai accettata).

Evidenziano ancora gli appellanti che mancherebbe, nel caso in esame, anche il presupposto, richiamato dalla giurisprudenza, per il quale i due mediatori hanno operato “simultaneamente e di comune intesa ovvero autonomamente, ma giovandosi l’uno dell’attività dell’altro”; sostengono, invece, gli appellanti che l’attività dei mediatori è stata successiva nel tempo e non simultanea, rilevando pertanto l’assenza di alcun “rilievo causale neppure minimo” dell’attività del promo mediatore nella conclusione dell’affare. Sostengono, quindi, che l’affare si è concluso solo ad opera dello Studio D.S. Snc per il cui tramite la proposta di acquisto del 18.12.2006 è stata accettata dalla P. e suggellata nel preliminare di vendita (doc. 2 e 3).

Concludono, pertanto, gli appellanti che il giudice ha errato nel ritenere l’identità dell’affare, atteso che si è trattato di due proposte diverse tra loro.

Infine, si dolgono gli appellanti che, anche a voler adeguarsi alla tesi del Tribunale, rimarrebbe comunque a loro oscuro il parametro applicato per la quantificazione della provvigione, deducendo che il Tribunale, nello scegliere il 50% del compenso già corrisposto allo Studio D.S. Snc, si è “lanciato in considerazioni giuridiche errate e fondate su frasi estrapolate illogicamente da una sentenza della S.C. e riportate forzatamente nella decisione gravata” attribuendogli una motivazione opposta.

Per tali ragioni, gli appellanti invocano la riforma della sentenza chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda di liquidazione.

 

  • 4 – L’appello è infondato.

 

  • 4.1 – Quanto al primo motivo, va confermata la statuizione del Tribunale alla luce delle risultanze probatorie emerse in primo grado.

Ebbene, come si evince dalla lettura dei verbali di udienza del 05.05.11 e, in particolare, dalle risposte all’interrogatorio formale deferito agli odierni appellanti (v. in particolare capitolo 2) dei A.) si può evincere una confessione del S.A., il quale appunto afferma “dichiaro di aver visionato l’immobile tramite il Sig. A. una volta con mio figlio”, circostanza poi confermata (durante l’interrogatorio sugli stessi capitoli di prova) dal S.L.

Questa circostanza, poi, trova riscontro nella lettera del 9.10.2006, a firma di A.S., nella quale lo stesso dichiara che l’appellato gli ha consegnato la planimetria e il certificato catastale del box e della cantina di pertinenza dell’appartamento.

Che poi la proposta sia stata formalizzata alla venditrice soltanto da S.L. non è indice dell’estraneità del primo appellante al rapporto relativo alle trattative per la compravendita dell’immobile (circostanza comunque confutata dalle dichiarazioni degli appellanti e dalla documentazione allegata al fascicolo di primo grado) che si sono appunto potute realizzare solo grazie all’intermediazione posta in essere dall’A. in qualità di mediatore fra i S. e la P.

Dall’esame delle risultanze probatorie è pertanto chiara e inopinabile la legittimazione del S.A. a corrispondere – in solido con il figlio – ad A. la somma a titolo di provvigione accertata dal Tribunale, non essendo invece necessario – come eccepito dagli appellanti – che vi sia coincidenza/equivalenza tra i soggetti che partecipano alle trattative e quelli che invece stipulano definitivamente il contratto. La posizione del S.A., pertanto, è priva di qualsivoglia autonomia, ma si inserisce indiscutibilmente in un iter volto alla conclusione dell’affare.

Va, a questo punto, ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale alla modificazione soggettiva del rapporto di mediazione (ovvero alla mancata corrispondenza fra soggetto che partecipa alle trattative e soggetto che partecipa alla stipula negoziale) non può ricollegarsi, di per sé, la conseguenza dell’esclusione della provvigione al mediatore, se la stipula s’inserisce nell’ambito di un iter contrattuale che ha visto coinvolti gli stessi soggetti che hanno concordato i termini dell’accordo per il tramite del mediatore. E infatti, afferma la Corte di Cassazione in vicende analoghe: “…ne consegue che, ai fini del riconoscimento al mediatore del diritto alla provvigione, è sufficiente che la sua attività costituisca l’antecedente necessario per pervenire, anche attraverso fasi e atti strumentali, alla conclusione dell’affare, rimanendo irrilevante che le parti originarie sostituiscano altri a sé nell’operazione conclusiva ovvero una parte sia receduta dal preliminare.” (Cass. 12527/2010, in senso conforme v. Cass. 2136/2010; Cass. 25799/2014).

Il primo motivo di gravame, pertanto, è destituito di fondamento.

 

  • 4.2 – Quanto alla questione della “identità” degli affari ed alla prospettazione degli appellanti secondo la quale la conclusione dell’affare sarebbe avvenuta grazie esclusivamente all’attività dello Studio D.S. Snc, rileva la Corte che è ormai consolidato il principio secondo cui, in primo luogo, per la corresponsione del compenso al mediatore non è necessario che grazie alla sua attività si giunga alla conclusione concreta dell’affare, ma che lo stesso ne ha comunque diritto qualora abbia avuto un ruolo decisivo e causale: “in tema di mediazione, il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, senza che sia richiesto un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, essendo sufficiente, che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, si da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità adeguata.” (Cass. n. 25851/14).

In relazione, poi, a quanto eccepito dagli appellanti sull’assenza di identità degli affari posti in essere dai due mediatori, il Collegio evidenzia come tale doglianza sia priva di alcun fondamento sia logico che giuridico.

Logico poiché dalla ricostruzione dei fatti di causa e delle risultanze probatorie è evidente l’apporto causale dell’A., grazie al quale gli odierni appellanti hanno visionato l’immobile ed hanno formulato la prima proposta, con la conseguenza che l’attività svolta dall’A. integra una concausa nella conclusione seppur successiva dell’affare.

Manca, sul punto, anche una solida argomentazione giuridica in quanto ex art. 1755 c.c. la provvigione è dovuta “se l’affare è concluso per effetto del suo intervento” e ex art. 1757 c.c. “se l’affare è concluso per l’intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto a una quota della provvigione”

Nel caso di specie l’intervento dell’A. non è stato di certo marginale e ininfluente.

Rileva la Corte come le prove conducono inequivocabilmente a dimostrare: 1) che un’attività di mediazione iniziale fu compiuta dall’appellato; 2) che tale attività si concretizzò in un’accurata visita all’immobile da parte dei potenziale; 3) che infatti proprio grazie all’A. venne formulata la prima proposta di acquisto alla P.

Non era neanche prevista, come afferma la venditrice nella sua deposizione, l’esistenza di un incarico di mediazione “in esclusiva”, e pertanto, in applicazione dei condivisibili principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, deve dirsi nonché ampiamente provato il diritto di credito dell’A.

Giova, a questo punto, ricordare che: “il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, poiché è sufficiente che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l’antecedente  indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della causalità  adeguata. (Nella specie, la S.C. ha escluso che l’intervento di un secondo mediatore interrompa, di per sé , il nesso di causalità tra l’attività del primo e la conclusione dell’affare)”. (Cass. Ord. N. n. 568/18). E’ stato anche specificato  che “qualora detta assoluta autonomia della seconda attività di mediazione non sussista e l’affare sia concluso per l’intervento di più mediatori, (congiunto  o distinto, contemporaneo o successivo, concordato o autonomo, in base allo stesso  incarico o a più incarichi) a norma dell’art. 1758 cod.civ. ciascuno di essi ha diritto ad una quota di provvigione. In altri termini, proprio perché nell’ipotesi di concorso in tempi diversi di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto alla provvigione in ragione del proprio apporto causale alla conclusione  dell’affare, non è sufficiente per escludere il diritto alla provvigione del primo la considerazione che per effetto della sola attività di questi l’affare non si è concluso. Ciò infatti costituirebbe una tautologia, in quanto proprio la presenza di un successivo mediatore dimostra che l’attività del primo  non è stata da sola sufficiente a concludere l’affare. Sennonché se il secondo mediatore interviene, non riproponendo ab origine l’attività mediatizia nei confronti del soggetto con cui l’affare sarà  concluso, ma ripartendo dalle posizioni già raggiunte  dal precedente mediatore e quindi avvalendosi della messa in relazione tra le parti, già effettuata da quest’ultimo per quanto infruttuosamente, va ritenuto che l’attività posta in essere da entrambi i mediatori abbia concorso alla conclusione dell’affare” (v. Cass. n. 5952/05).

In conclusione, non può che condividersi quanto già affermato dal Tribunale: l’attività di entrambi i mediatori ha determinato la conclusione dell’affare, ove si consideri che si trattava del medesimo immobile, che è stato venduto ad un prezzo di poco differente dalla proposta, che la vendita è avvenuta pochi mesi dopo la proposta e che quindi il nesso causale tra l’attività dell’A. e la conclusione dell’affare non è stato interrotto dall’incarico conferito successivamente allo Studio D.S. Snc.

Pertanto, nessun travisamento da parte del Tribunale è avvenuto con riferimento al principio affermato dalla sentenza della Corte di Cassazione riportata nella sentenza gravata perché è chiaro che “che tra le parti si sia costituito in dipendenza messa in relazione ad opera del mediatore un vincolo giuridico” (Cass. N. 12527/2010).

A parere della Corte, quindi, non assume rilevanza – , sotto il profilo della incidenza sulla efficienza causale esclusiva o concorrente dell’opera di detto mediatore – la assoluta identità delle condizioni alle quali la trattativa sia stata portata termine solo successivamente, e con l’intervento di altro mediatore, non essendo un unico elemento di parziale differenziazione, da solo, idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra l’attività originariamente svolta dal soggetto che per primo aveva messo le parti in relazione tra loro e l’affare tra le stesse concluso.

In relazione all’ultimo profilo, infine, ovvero sulla determinazione del quantum, si osserva quanto segue.

Il criterio dell’equità, previsto dall’art. 1755 c.c., postula che vi siano elementi concreti cui commisurare la liquidazione e nella specie il criterio sul quale è possibile basarsi a tal fine è la provvigione pagata all’altro mediatore per l’attività svolta successivamente  a quella dell’A.

Come risulta dagli atti, gli appellanti hanno pagato allo Studio D.S. Snc la somma di circa € 10.000,00 per l’attività di mediazione (rileva come percentuale del prezzo corrisposto per l’acquisto dell’immobile).

Non avendo stabilito, nella mediazione, un prezzo fisso o dei canoni per la determinazione dello stesso, e non essendoci esplicita richiesta o contestazione da parte appellante che avrebbe potuto opinare per un altro metodo di calcolo, a questa Corte appare congruo il parametro applicato dal Tribunale – 50% del compenso corrisposto all’altro mediatore – tenuto conto della diversa qualità della prestazione professionale dell’A. che ha riguardato solo la prima fase della trattativa (con una proposta poi non accettata) e che, pertanto, è priva dell’assistenza al momento sia del preliminare che del contratto definitivo.

 

  • 5 – Per quanto concerne le spese di giudizio, queste seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo ex DM 55/14, tenuto conto dei parametri medi e del valore della controversia – come da prospetto – oltre IVA e CPA nonché rimborso per spese generali.

 

Competenza: Corte d’Appello

Valore della Causa: Da € 5.201 a € 26.000

Fase di studio della controversia, valore medio € 1.080

Fase introduttiva del giudizio, valore medio: € 877,00

Fase di trattazione, valore medio:           € 1.755,00

Fase decisionale, valore medio:                 € 1.820,00

Compenso dovuto                                   € 5.532,00

_________________________________________________________________________

Trattandosi di procedimento introdotto dopo la data del 31.1.13 (entrata in vigore della L. n. 228/12) deve darsi atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater TU approvato con DPR n. 115/02 come modificato dall’art. 1 comma 17 L. n. 228/12.

 

P.Q.M.

 

La Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto contro la sentenza n. 22565/2013 del tribunale di Roma, ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, cosi provvede:

 

  1. Rigetta l’appello;
  2. Condanna gli appellante S.A. e S.L., in solido tra loro, alla rifusione in favore di A.P. delle spese di lite che si liquidano in € 5.532,00 oltre IVA e CPA nonché rimborso per spese generali.
  3. Dichiara, altresì gli appellanti S.A. e S.L., in solido tra loro, tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r.n. 115/2002.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 maggio 2018

IL PRESIDENTE

Il consigliere estensore

 

Depositato in Cancelleria

Roma, lì 03.05.18

IL CANCELLIERE B3

Dott.ssa Rosalba Sellato

Sent. 2878.2018 Corte di Appello

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