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Regolamento di Condominio e attività di affittacamere

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Nel caso di specie il Tribunale di Roma ha condannato la proprietaria dell’immobile facente parte del Condominio a far cessare l’attività di affittacamere svolta nel suo appartamento. In particolare il regolamento di Condominio espressamente vieta di adibire ai singoli appartamenti ad “esercizio di locanda e di affittacamere”. Stante la norma del regolamento di Condominio, il Tribunale di Roma ha accolto la tesi del Condominio ordinando la cessazione dell’attività.

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SENTENZA 5351/2018

 

R E P U B B L I C A    I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

QUINTA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott. Mario Bertuzzi

ha pronunciato la seguente

                                                                       S E N T E N Z A

nella causa civile di primo grado iscritta al n. R.G. 10685 del 2016 promossa da:

Condominio di Via XX, Roma in persona dell’amministratore dott. L.C., rappresentato e difeso per procura alle liti a margine dell’atto di citazione dall’Avvocato Vito Sola, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma via Ugo De Carolis n. 31

ATTORE

E

G.R., rappresentata e difesa per procura alle liti in calce alla comparsa di costituzione e risposta dall’Avvocato F.A.P., elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, piazza G.R.,

CONVENUTA

 

Oggetto: rapporti condominiali

 

Conclusioni. Per il condominio: come in atto di citazione e memoria istruttoria del 25.7.2016; per la convenuta: come in comparsa di risposta e memoria istruttoria del 22.6.2016.

 

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato l’8.2.2016 il Condominio di via dei R. in Roma ha convenuto in giudizio G.R., proprietaria di un’unità immobiliare sita nell’edificio condominiale, chiedendone la condanna a far cessare l’attività di affittacamere svolta nel proprio appartamento, in qualità di conduttrice, dalla Srl L.R., in quanto espressamente vietata dall’art. 4 del regolamento condominiale e pregiudizievole all’uso dei beni comuni ed alla tranquillità e sicurezza dei condomini.

La convenuta si è costituita in giudizio eccependo in via preliminare il proprio difetto di legittimazione passiva, per essere l’attività denunziata imputabile unicamente alla società che conduce in locazione il proprio immobile, e contestando nel merito  la domanda, per la mancata prova della destinazione  dell’immobile né essendo fonte di rumori o molestie nei confronti degli altri condomini.

Nel corso dell’istruttoria sono stati prodotti documenti, depositate memorie e sentiti testi.

Infine, sulle conclusioni delle parti all’udienza del 13.12.2017 la causa è stata trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica.

L’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla convenuta è infondata, in quanto la domanda è stata proposta dal condominio nei suoi confronti in ragione nella sua qualità di condomina, non oggetto di contestazione né di controversia, e per l’adempimento degli obblighi che in tale veste si assume siano a suo carico in forza del regolamento condominiale. Del tutto indifferente è che l’attività denunziata sia di fatto esercitata da un terzo, quale conduttore del bene, atteso che la costituzione di un autonomo diritto di godimento del bene a favore di altri non interrompe la permanenza degli obblighi a carico dei singoli proprietari derivanti dai rapporti condominiali. Si richiama in proposito l’orientamento della giurisprudenza  secondo cui il condominio, siccome principale destinatario delle norme  regolamentari, si pone nei confronti della collettività  condominiale non solo come responsabile delle dirette violazioni di quelle norme da parte sua ma anche come responsabile delle violazioni delle stesse norme da parte del conduttore  del suo bene, essendo tenuto non solo ad imporre  contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento ma altresì  a prevenirne le violazioni e a sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto (Cass. 4920 del 2006; Cass. n. 8239 del 1997).

Nel merito la domanda proposta è fondata.

I documenti prodotti dal condominio, attestanti la pubblicità via internet dell’attività esercitata nell’appartamento di proprietà della convenuta, e le dichiarazioni rese dai due testimoni hanno provato che in esso viene esercitata dal 2015 attività di ospitalità e cessione in alloggio temporaneo anche delle singole stanze a favore di terzi, destinazione che è espressamente vietata dall’art. 4 del regolamento di condominio, che al punto n. 4) vieta di adibire i singoli appartamenti ad “esercizio di locanda o di affittacamere”. In particolare, l’attività esercitata va identificata, in mancanza di ulteriori elementi, in quella di affittacamere, ma la conclusione non sarebbe diversa anche qualora essa desse luogo , come prospettato da un teste in relazione alla larga apposta sulla porta di ingresso dell’appartamento, ad attività di bed & breackfast, la quale, si caratterizza rispetto alla prima per la prestazione di ulteriori servizi personali (quali il riassetto dei locali stessi, la fornitura della biancheria da letto e da bagno e della prima colazione), e quindi va senz’altro ricompresa  ed assimilata, quanto ai divieti condominiali, all’attività di affittacamere (in questo senso: Cass. n. 704 del 2015; Cass. n. 26087 del 2010), condividendo con essa gli aspetti essenziali e distinguendosene soltanto per i maggiori servizi che in genere comporta e la più breve durata del soggiorno degli ospiti, con conseguenze sul loro avvicendamento, che appare più frequente.

In contrario non coglie nel segno l’argomento difensivo dalla parte convenuta, che richiama anche l’arresto della Corte di legittimità n. 24707 del 2014, secondo cui l’attività di affittacamere non sarebbe vietata in sé, ma solo nel caso in cui crei disturbo o molestia ai condomini. Tale interpretazione non può essere accolta perché la disposizione regolamentare, da un lato, come già detto, vieta la destinazione in discorso in via autonoma, senza ulteriori distinzioni e condizioni, il che implica una valutazione a priori circa l’esistenza del pregiudizio derivante dall’attività vietata, dall’altro nell’estendere il divieto al punto 8) a tutte quelle attività che comportino “rumori molesti … ed in genere a qualsiasi uso che possa turbare la tranquillità dei condomini”, mostra come tali condizioni vadano a comporre ed a enucleare una fattispecie di divieto ulteriore, distinta ed autonoma rispetto alle previsioni specifiche poste dalla prima parte della disposizione. Il richiamo alla sentenza della Corte di  Cassazione n. 24707 del 2014 non è conferente, in quanto in quel caso il giudice  è stato chiamato a pronunciarsi sull’applicazione di una clausola di regolamento  di condominio affatto  diversa, la quale si limitava genericamente a vietare di destinare gli appartamenti “a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato”, laddove nel caso concreto il regolamento vieta espressamente l’attività di affittacamere.

Non sembra dubbio pertanto che l’attività esercitata nell’unità immobiliare di proprietà  della convenuta concreti  una violazione del regolamento condominiale. La domanda di condanna alla cessazione di tale attività va quindi accolta.

Da ultimo merita osservare che la parte convenuta in sede di comparsa conclusionale, richiamando la pronuncia della Corte di Cassazione n. 21024 del 2016, ha eccepito l’inopponibilità  nei propri confronti dell’art. 4 del regolamento condominiale  perché in sede di trascrizione dello stesso, non risulterebbero indicate nella relativa  nota in modo specifico le clausole limitative del diritto di destinazione delle singole unità immobiliari, che, in quanto costituenti autonomi diritti di servitù, debbono essere trascritte. L’eccezione va dichiarata inammissibile in quanto sollevata per la prima volta solo in comparsa conclusionale, tenuto conto che essa deve considerarsi eccezione in senso stretto e non mero argomento difensivo, risolvendosi in una obiezione alla opponibilità della clausola regolamentare che necessariamente richiede un accertamento di fatto nuovo, in quanto in precedenza non richiesto, con conseguente compromissione del diritto di difesa della controparte. Merita aggiungere che l’esigenza di specifica  indicazione nella nota di trascrizione  delle clausole del regolamento condominiale che impongono servitù a carico dei singoli appartamenti non si pone come condizione generale di efficacia  delle singole clausole, essendo noto che la pubblicità immobiliare  non ha efficacia costitutiva, ma rileva solo ai fini dell’opponibilità delle stesse ai terzi acquirenti, cioè a condomini che hanno acquistato in epoca successiva alla redazione del regolamento. Questa circostanza però non risulta dedotta dalla parte convenuta, che non ha chiarito se era condomina all’epoca del regolamento ovvero lo è diventata successivamente, con l’effetto che l’eccezione appare anche carente del necessario presupposto costitutivo.

Le spese di lite, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza

P.Q.M.

condanna G.R. a far cessare l’attività di affittacamere svolta nel suo appartamento sito nel condominio di via dei R. n. 18 in Roma;

condanna la parte convenuta al pagamento in favore del procuratore del condominio, Avv. Vito Sola, che si è dichiarato antistatario, delle spese di giudizio, che liquida in euro 5.550,00 di cui euro 550,00 per esborsi, comprensivi del contributo unificato, oltre accessori di legge e spese generali.

Roma, 13 marzo 2018

Il Giudice

Dott. Mario Bertuzzi

Sentenza 5351.2018

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