dell'avvocato Vito Sola, patrocinante in Cassazione

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Responsabilità professionale del medico di famiglia

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Il Tribunale di Roma interviene in un caso di presunta responsabilità professionale del medico di famiglia rigettando la domanda avanzata nei confronti del medico di base.

Studio Legale Avv. Vito Sola
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Sent. 7367/14

TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE XIII
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il giudice d.ssa Maria Lavinia Fanelli ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 41175/09 R.G.A.C. promossa
DA
S.P.
T.A.
T.C.
T.U.
C.F.
elettivamente domiciliate in Roma Via Duilio 13, presso lo studio dell’Avv. F.M., rappresentante e difensore in virtù di procura a margine dell’atto di citazione;                                                                        ATTRICI
CONTRO
D.M.A.
elettivamente domiciliato in Roma Via Ugo De Carolis n. 31, presso lo studio dell’Avv. Vito Sola, rappresentante e difensore come da procura a margine della comparsa di costituzione;                             CONVENUTO
U.G.F. Assicurazioni Spa
elettivamente domiciliata in Roma Via di Santa Costanza 27, presso lo studio dell’Avv. L.M., rappresentante e difensore come da procura a margine della comparsa di costituzione;                      TERZA CHIAMATA

Oggetto: risarcimento danni da responsabilità professionale

Conclusioni: all’udienza del 05.12.2013 venivano precisate dalle parti le conclusioni, che qui si intendono riportate e trascritte.
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione ritualmente notificato le odierne parti attrici – in proprio ed in qualità di eredi di M.T. – evocavano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il dott. D.M. affinché fosse accertata la sua responsabilità nel decesso del loro congiunto per tardiva diagnosi della patologia tumorale da cui affetto, e fosse di conseguenza condannato al pagamento risarcitorio di tutti i danni patrimoniali e non sofferti quantificati iure hereditatis in € 1.897.429,32 e iure proprio in € 500.000,00 per ciascuno.
Deducevano in particolare che a causa di un dolore intercostale M.T. si era recato nell’aprile 2007 presso il medico convenuto il quale gli aveva prescritto una gastroscopia con esito ernia iatale; in data 16.4.2007 il D.M. aveva richiesto una ecografia dell’addome superiore nonostante i sintomi iniziali di deperimento; in data 26.4.2007 il medico aveva confermato la diagnosi di ernia, sebbene il paziente gli avesse manifestato i suoi sospetti sulla presenza di una patologia tumorale; a giugno 2007 i dolori non erano diminuiti ma il medico aveva continuato la cura per l’ernia; a luglio 2007 – aumentato il dimagrimento – il medico non aveva cambiato la diagnosi, sino al settembre 2007 in cui gli aveva prescritto del cortisone a causa dell’ingravescenza del dolore; solo nel settembre 2007 il sanitario aveva prescritto una Tac dove era emersa la massa tumorale a seguito del quale lo sesso – avvedutosi dell’errore commesso – aveva richiesto il ricovero urgente; dall’ottobre 2007 – a seguito di diagnosi di linfoma non Hodgkin – il paziente era stato ricoverato più volte presso l’Ospedale S. Andrea e S. Filippo Neri per le terapie chemioterapiche ed il trapianto di midollo, sino al decesso nel settembre 2008; tale esito era da ascriversi pertanto alla tardiva diagnosi (5 mesi), che aveva consentito al linfoma di raggiungere un lato livello di gravità – IV Stadio, costringendo peraltro il paziente ad una somministrazione in maggiore numero di terapie dolorose.
Chiedevano pertanto la condanna del D.M. per gli importi sopra indicati.
Con vittoria di spese da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario.

Si costituiva il D.M. il quale d’altra parte deduceva che: aveva visitato in qualità di medico di base il T. per la prima volta ad aprile 2007 per una gastrite cronica e sintomatologia generica dolorosa addominale e dorsale; aveva prescritto dei farmaci, una gastroscopia urgente, rx dello stomaco e ecografia pelvica tutte con esito negativo; aveva comunque consigliato il ricovero; il paziente non si era più presentato sino ad agosto 2007 quando – persistendo dolorabilità – in occasione della visita gli aveva prescritto Emocromo ed ulteriori indagini pancreatiche ed epatiche, con risultati nei limiti della norma, richiedendo comunque una Tac spirale eseguita a settembre; a seguito della risultanza della massa mediastinica aveva indicato il ricovero immediato; nessuna responsabilità poteva ascriversi ad esso convenuto che in quanto medico di base aveva seguito il paziente con diligenza sino alla corretta diagnosi in presenza di sintomi generici; era inoltre possibile che la patologia si fosse sviluppata tra l’aprile 2007 ed agosto 2007, ovvero nei mesi in cui non aveva più visto il paziente.
Chiedeva pertanto respingersi la domanda per l’infondatezza e comunque chiamarsi in causa la propria Compagnia Assicurativa – Ugf – da cui essere manlevato in caso di condanna. Con vittoria di spese da distrarsi.
Autorizzata la chiamata si costituiva la Ugf Assicurazioni spa la quale preliminarmente eccepiva il limite di massimale di € 516.460,00 a nel merito si associava alla difesa dell’assicurato, sottolineando l’assenza di nesso di causalità tra l’asserita tardiva diagnosi e l’evento decesso.
Contestava infine nel quantum gli importi richiesti per l’eccessiva onerosità.
Chiedeva pertanto il rigetto della domanda attorea ovvero in caso di soccombenza la condanna alla garanzia nei limiti del massimale.

La causa all’esito dell’istruttoria documentale, dell’interrogatorio formale del convenuto ed espletamento della Ctu medico legale, veniva trattenuta in decisione all’udienza del 05.12.13 sulle conclusioni rassegnate dalla parti.

Nel merito la domanda dell’attore è infondata e deve essere respinta nei termini che seguono.

Giova premettere che ai fini della configurabilità della responsabilità medica invocata sostegno dell’avanzata pretesa risarcitoria è necessario dimostrare che il professionista non abbia rispettato il dovere di diligenza su di lui incombente in relazione alla specifica attività esercitata ex art. 1176 comma 2 c.c.
A prescindere pertanto dalla qualificazione dell’obbligazione medica come di mezzi o di risultato, e dalla qualificazione della responsabilità del sanitario come extracontrattuale ovvero contrattuale per “contatto sociale” occorre che venga provato l’inadempimento o l’inesatto adempimento del medico.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha chiarito – con orientamento oramai consolidato – come debba essere ripartito l’onere probatorio tra le parti: incombe infatti, in ossequio al principio di vicinanza della prova, sul danneggiato l’onere di allegazione dell’inadempimento del medico, ovvero dell’inesattezza dell’adempimento dovuta a negligenza o imperizia, mentre grava sul sanitario provare il proprio esatto adempimento e dunque la mancanza di colpa nell’esercizio della prestazione (ex pluribus Cass. 11488/04, n. 12274/11).
Trattandosi infine nel caso di specie di causalità omissiva dolendosi le parti attrici della tardiva diagnosi di linfoma da cui affetto il loro congiunto, è necessario che emerga all’esito dell’istruttoria non solo la eventuale negligenza del sanitario bensì anche la prova – attraverso un giudizio controfattuale – che una diversa ed appropriata condotta del medico avrebbe impedito il verificarsi dell’evento (decesso), ovvero che questo sia stato eziologicamente determinato secondo la regola del “più probabile che non” alla omissione del professionista (Cass. Su. n. 581/08; Cass. n. 13214/12).

Ebbene, tali le premesse normative e giurisprudenziali, le parti attrici hanno provato per tabulas il primo contatto del loro familiare M.T. con il dott. D.M. avvenuto nell’aprile 2007.
In tale occasione è dimostrato come il medico – a seguito dello stato di salute rappresentato dal paziente ovvero la sussistenza di un dolore tra le costole del fianco sinistro e la schiena – abbia prescritto una esofagogastroduodenoscopia eseguita in data 16.4.2007 (doc. 1 citaz.) e una ecografia pelvica (dooc. 2 citaz.).
Hanno altresì allegato come vi fossero stati svariati consulti successivamente alla prima visita tra il convenuto ed il paziente, senza tuttavia fornirne prova alcuna: né sul punto hanno potuto supplire con la prova orale – trattandosi di circostanze documentali – né richiedendo l’ordine di esibizione ex art. 210 cpc di tutte le prescrizioni mediche del dott. D.M. al T. successive all’aprile 2007, apparendo tale istanza generica e comunque volta alla acquisizione esplorativa di documentazione rientrante nella disponibilità delle stesse attrici, che avrebbero dovuto e potuto conservare copia come avvenuto peraltro con gli allegati 2 e 6 (Cass. 24188/13; Cass. 20104/09).
D’altra parte sul punto il D.M. – se da un lato ha confermato in interrogatorio formale di avere visitato il paziente in aprile per dolore allo stomaco e malessere generale – ha ricordato di avergli prescritto delle indagini strumentali in una seconda visita (gastroscopia ed ecografia) anche in base all’anamnesi raccolta ovvero al rappresentato utilizzo di molto alcool, e di averne valutato le risultanze in maggio evidenziando un’ernia iatale ed una gastrite.
Ha altresì ricordato di aver rivisto il T. solo ad agosto 2007 prescrivendogli delle analisi del sangue risultate nella norma – di cui però non ha depositato alcun riscontro documentale – di avergli comunque richiesto una Tac spirale a fine agosto a causa di lamentati dolori di schiena e di averne visto il referto a settembre indicando il ricovero immediato (cfr. verbale di udienza del 05.12.2013).
Le attrici hanno infine documentato il referto della Tac del 11.09.2007 deponente per la presenza in sede sottodiaframmatica a sinistra di un voluminoso espanso, con richiesta di integrazione diagnostica con esame Tac total body con mezzo di contrasto, a seguito del quale in data 14.09.07 il D.M. aveva prescritto il ricovero urgente (doc. 4 citaz.).
Hanno infine provato come a seguito del ricovero presso l’ospedale San Filippo Neri e gli accertamenti ivi eseguiti sia risultata la patologia tumorale, ovvero il linfoma di non Hodgkin al IV stadio, allegando perciò come il ritardo diagnostico di 5 mesi avesse causato la ingravescenza della malattia con la conseguente maggiore difficoltà di cura della stessa e la prognosi infausta derivatane (decesso settembre 2008).
Non può infine valutarsi – poiché tardivamente depositato – il certificato allegato in comparsa conclusionale asseritamente pervenuto in forma anonima alle parti attrici, il quale comunque dimostrerebbe che al settembre 2007 la diagnosi del D.M. fosse ancora non corretta, giacché questa circostanza è comunque dimostrata ed incontestata all’esito della Tac.

Orbene tale la ricostruzione della storia clinica del paziente osserva questo tribunale come non sia emersa all’esito dell’istruttoria una particolare negligenza del sanitario evocato, ovvero come la condotta dello stesso non possa considerarsi causativa del decesso del paziente con probabilità superiore al 50%.
E’ emerso invero all’esito della Ctu a firma del dott. A. specialista in oncologia e medicina del lavoro – puntuale nell’analisi scientifica e completa nella valutazione della documentazione clinica e pertanto interamente condivisibile nelle conclusioni – come i sintomi lamentati del T. ad aprile 2007 fossero aspecifici e senza carattere di continuità nei primi 2/3 mesi e dunque come non vi sia stato errore di diagnosi da parte del dott. D.M. peraltro medico di base ovvero generico e quindi deputato al primo livello di assistenza. Lo stesso non è infatti risultato essersi attivato con l’ausilio di prestazioni specialistiche in maniera corretta senza che vi fosse un’incompletezza delle indagini iniziali.
Del resto nell’anamnesi prossina del paziente raccolta nella cartella clinica del S. Filippo Neri al momento del ricovero è riportato come lo stesso avesse cominciato ad avere dolore intermittente prevalentemente notturno in sede costale inferiore posteriore sx non correlato ad atti respiratori ad aprile 2007, sintomatologia scomparsa dopo circa un mese.
E’ dunque ben plausibile che il D.M. anche in base alle notizie raccolte – ed infatti riportate nella anamnesi fisiologica nella cartella ospedaliera riguardanti l’uso significativo di vino e bevande super alcoliche – abbia prescritto proprio in occasione del primo contatto in aprile dei primi accertamenti in zona pelvica e gastrica, non sussistendo in tale fase altri indici riportati deponenti per patologia tumorale (febbre, sudorazione ecc.) ad eccezione fatta per il calo ponderale di peso negli ultimi mesi, il quale deve tuttavia essersi verificato progressivamente di guisa che il convenuto non avrebbe potuto apprezzarne in prima analisi la valenza indiziaria (doc. 5 citaz.).
Tali i sintomi accusati nella fase inziale della malattia il Ctu ha sottolineato come le indagini prescritte (gastroscopia ed ecografia) fossero adeguate, e che peraltro evidenziandosi un’ernia iatale i disturbi accusati erano compatibili con la dolenzia dell’ipocondrio e non potevano far sospettare una diversa patologia. A conferma di ciò si può apprezzare nella cartella clinica come il dolore avvertito dal T. era quasi del tutto scomparso nel mese di maggio – dovendosi ritenere che le cure prescritte dal medico (medicinali per la cura dell’ulcera e anti infiammatori) avessero sortito in fase iniziale un qualche effetto pur permanendo un malessere generale – sino alla ricomparsa ad agosto 2007, momento in cui il paziente fu costretto ad astenersi dal lavoro.

Alla luce di quanto sopra deve concludersi come l’asserito ritardo di diagnosi di linfoma avvenuta a settembre 2007 con inizio delle cure al 2008 non appaia essere imputabile ad una negligenza del sanitario.
Il ctu ha infatti indicato come tale ritardo – se vi è stato – possa essere ragionevolmente quantificato in 1/2 mesi, ovvero a luglio agosto: tuttavia a luglio non vi è prova che vi sia stato un contatto tra il medico ed il paziente, mentre ad agosto il D.M. ha prescritto adeguatamente la Tac necessaria all’individuazione della patologia.
Né può dirsi che tale ritardo – quand’anche fosse stato dimostrato – abbia determinato “molto più che probabilmente che non” una variazione dell’andamento della patologia rispetto alle prospettive di vita: all’esito dell’esame controfattuale può infatti scientificamente concludersi che il linfoma di non Hodgkin- di tipo B aggressivo come quello del T. – avrebbe portato all’esito infausto anche laddove diagnosticato con 2 mesi di anticipo. Invero – atteso l’alto tasso di malignità associato a tale classe tumorale – l’evoluzione della malattia è scientificamente legata più alle caratteristiche biologiche del linfoma e alla risposta individuale ai trattamenti che alla stadiazione iniziale.

La domanda quindi non può trovare accoglimento.

Attesa la complessità della vicenda clinica e la lacunosità probatoria determinata dal comportamento processuale di entrambe le parti, nonché la difesa nel merito svolta dalla Compagnia – sostanzialmente comune a quella del chiamante – sussistono equi motivi per disporre la compensazione delle spese di lite del presente giudizio.
Le spese di Ctu debbono essere poste a carico definitivamente delle parti attrici.
PQM
definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione;
1) rigetta la domanda proposta da S.P., T.A. e T.A., T.U. e C. F;
2) compensa le spese di lite.
Così deciso in Roma in data 06.03.2014

                                                                                    Il Giudice
d.ssa Maria Lavinia Fanelli

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
ROMA 31.3.2014

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