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Risoluzione contrattuale e restituzione del doppio della caparra

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La domanda di risoluzione del contratto per inadempimento non è compatibile con la richiesta di restituzione del doppio della caparra (rimedio quest’ultimo esperibile con la domanda di recesso per inadempimento ex art. 1385 c.c.), ma solo con la restituzione della somma versata a titolo di caparra e dell’eventuale maggior danno da provare a norma dell’art. 1223 c.c.

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SENTENZA 1543/2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale di Roma, quinta sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. Paolo Russo, ha emesso la seguente

S E N T E N Z A

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 42003 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2006, decisa all’udienza del 11.01.2008, e vertente

TRA

B.R., elettivamente domiciliato in Roma, (OMISSIS) presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende per procura a margine del ricorso

                                                                                                                                                                       ricorrente

e

C.M.A.

resistente contumace

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 15.06.2006 B.R., premesso che con proposta del luglio 2005 si era impegnato per un periodo di due anni a partire dal 01.09.2005 a prendere in gestione l’azienda commerciale (bar) Tab. I e VII, sito in (OMISSIS), di proprietà di M.C; che aveva rilasciato un assegno di Euro 5.000,00, accettato dalla M.C. a titolo di “caparra confirmatoria” al momento della sottoscrizione della proposta e successivamente da quest’ultima incassato; che la stessa M.C., a seguito dell’accettazione della proposta di affitto di azienda, aveva invitato il B. ad affiancarlo al Bar dal 22.08.05 per iniziare a fare un po’ di pratica e di conseguenza il B., dopo aver rassegnato le dimissioni nella società ove lavorava con contratto a tempo indeterminato, si era iscritto in data 11.07.05 al corso per conseguire l’iscrizione Rec – registro esercenti commercio; che, però, in data 01.08.05 la C., a mezzo del suo legale, aveva rifiutato di adempiere il contratto a causa della mancanza dell’iscrizione al Rec del B.; che il motivo addotto dalla C. era privo di fondatezza, atteso il reperimento da parte del B. del sig. P.T., regolarmente iscritto al Rec; che non avevano sortito nessun effetto le successive richieste del B. per l’adempimento dei patti sottoscritti; tanto premesso, chiedeva che il Tribunale dichiarasse la risoluzione della scrittura del luglio 2005 tra lo stesso ricorrente e la M.C. per grave e colpevole inadempimento di quest’ultima e per l’effetto la condannasse alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria pari ad € 10.000,00, oltre gli interessi legali ed al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi a seguito dell’inadempimento, danni quantificati nella somma di € 16.000,00 o in quella diversa più congrua.

La parte resistente non si costituiva in giudizio, nonostante la regolare notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione, e veniva quindi dichiarata contumace.

Prodotti documenti, all’udienza del 11.01.2008 il giudice pronunciava sentenza dando lettura del dispositivo.

                                                                 MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ da premettere che a norma dell’art. 2 della legge n. 287 del 1991 l’esercizio delle attività di somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti di cui all’art. 1, comma 1, è subordinato all’iscrizione del titolare dell’impresa individuale o del legale rappresentante della società, ovvero di suo delegato, nel registro degli esercenti il commercio di cui all’art. 1 della legge 11 giugno 1971, n. 426, e successive modificazioni e integrazioni, e al rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 3, comma 1, della presente legge.

Alla luce di questa disposizione appare ingiustificato il rifiuto di adempiere espresso dalla resistente in relazione alla mancata in relazione alla mancata iscrizione al REC del B., atteso che quest’ultimo aveva nominato quale delegato il sig. T.P., regolarmente iscritto al registro degli esercenti presso la camera di commercio di Roma in data 10.02.2004.

Va d’altra parte considerato che nel concetto di titolarità dell’azienda occorre distinguere fra la posizione del soggetto che ne dispone, indirizzandone l’attività economica ed assumendone il rischio, da quella di chi agisce per essa nei rapporti esterni. A questa seconda ipotesi si riconducono l’intestazione della licenza di esercizio e l’scrizione al registro degli esercenti, essendo queste autorizzazioni amministrative indispensabili per l’esplicazione dell’attività commerciale, ma nell’interesse pubblico, senza interferire nei rapporti giuridici di carattere negoziale che si riconnettono, in concreto, con l’attività stessa.

Si configura, quindi, a carico della resistente una inadempienza di gravità tale da determinare la risoluzione del contratto, avendo essa rifiutato ingiustificatamente di adempiere le prestazioni a cui si era obbligata con la sottoscrizione della proposta di affitto di azienda, prodotta dal ricorrente, che prevedeva la consegna della stessa azienda per il termine del 1°.09.2005.

Il ricorrente ha chiesto l’accertamento della risoluzione della scrittura privata del luglio 2005 per grave inadempimento della C. e la condanna della medesima alla restituzione del doppio della caparra ed al risarcimento dei danni nella misura di € 16.000,00.

Orbene, la domanda di risoluzione per grave inadempimento non è compatibile con la pretesa di restituzione del doppio della caparra alla luce della disciplina posta dall’art. 1385 c.c.. Infatti, in caso di pattuizione di caparra confirmatoria, ai sensi dell’art. 1385 c.c., la parte adempiente può scegliere tra due rimedi, alternativi e non cumulabili tra loro: o recedere dal contratto e trattenere la caparra ricevuta (o esigere il doppio di essa), avvalendosi della funzione tipica dell’istituto, che è quella di liquidare i danni preventivamente e convenzionalmente, così determinando l’estinzione ope legis di tutti gli effetti giuridici del contratto e dell’inadempimento ad esso; ovvero chiedere, con pronuncia costitutiva, la risoluzione giudiziale del contratto ed il risarcimento dei conseguenti danni, da provare a norma dell’art. 1223 cod. civ..

In proposito la S.C. ha chiarito (sentenza n. 17923 del 23/08/2007) che la “caparra confirmatoria di cui all’art. 1385 cod. civ. assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge e in tal caso, essa è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata; qualora, invece, detta parte abbia preferito agire per la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno dovrà essere provato nell’”an” e nel “quantum”. (Applicando tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, una volta accertato l’inadempimento di una parte e dichiarata la risoluzione del contratto, aveva ritenuto la parte non inadempiente legittimata a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria senza alcuna prova del danno subito).

Nella presente fattispecie, nella quale il B. non ha esercitato la facoltà di recesso del contratto, ma ha chiesto pronunciarsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento della controparte, la pretesa del ricorrente di ottenere il versamento del doppio della somma percepita a titolo di caparra confirmatoria si pone in contrasto con il disposto dell’art. 1385 c.c. citato, dal momento che, una volta chiesta la risoluzione del contratto, il diritto al risarcimento è regolato dai principi generali ed è quindi subordinato alla prova del pregiudizio patrimoniale subito.

La risoluzione del contratto comporta l’obbligo di restituzione della somma versata a titolo di caparra, ricollegandosi agli effetti restitutori propri della risoluzione negoziale come conseguenza del venir meno della causa della sua corresponsione, senza alcuna necessità di specifica prova del danno, essendo il danno stesso (consistente nella perdita della somma capitale versata alla controparte maggiorata degli interessi) “in re ipsa”, mentre la prova richiesta alla parte che abbia scelto il rimedio ordinario della risoluzione del contratto riguarda l’eventuale maggior danno subito in conseguenza dell’inadempimento della controparte. Nella specie il ricorrente non ha provato né offerto di provare il predetto maggior danno e di conseguenza la domanda può essere accolta limitatamente alla risoluzione del contratto ed alla restituzione della caparra.

Le spese seguono la prevalente soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da B.R. nei confronti di C.M. con ricorso depositato in data 15.06.2006, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:

Dichiara risolto per grave inadempimento di C.M. il contratto di affitto di azienda intercorso fra le parti e condanna la C. a restituire a B.R. l’importo di € 5.000,00, oltre gli interessi legali alla data della domanda.

Condanna la resistente a rifondere al ricorrente le spese processuali che liquida in € 130,00 per spese, € 600,00 per diritti, € 1.300,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, 11.01.2008

IL GIUDICE

P. Russo

 

Depositato in Cancelleria

Roma lì 28 GEN 2008

 

 

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