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Art. 91 c.p.c. e limiti alla liquidazione del compenso professionale

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La Corte di Cassazione interviene in merito alla portata dell’ultimo comma dell’art. 91 c.p.c. il quale prevede, per la cause il cui valore è inferiore a 1.100 euro, un limite alla liquidazione del compenso professionale, che non può superare il valore della domanda. Nel caso di specie la suprema Corte precisa come la previsione di una limitazione alla liquidazione delle spese nel caso di giurisdizione equitativa del Giudice di Pace appare rispondente alla possibilità, riconosciuta alle parti dall’art. 82, primo comma, cod. proc. civ., di stare in giudizio di persona e alla presunta non complessità tecnica delle relative controversie. La esclusione della detta limitazione per i giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione o a verbale di accertamento di violazione del codice della strada, pur se di competenza del Giudice di Pace e pur se di importo ricompresi entro i 1.100,00 euro, trova invece giustificazione in ciò che tali controversie postulano un giudizio secondo diritto. In tali giudizi, essendo giustificata se non indispensabile la difesa tecnica, la suprema Corte riconosce la possibilità che il compenso professionale possa anche superare il valore della domanda, purché le controversie postulino appunto un giudizio secondo diritto.

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SENT. 9557/14

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

composta dagli Ill.mi  Sigg.ri  Magistrati:

Dott. Stefano PETITTI                                            – Presidente Rel.

Dott. Felice MANNA                                                  – Consigliere

Dott. Pasquale D’ASCOLA                                        – Consigliere

Dott. Maria Rosaria SAN GIORGIO                      – Consigliere

Dott. Vincenzo CORRENTI                                     – Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:

E., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. M.V., presso lo studio del quale in Roma, Via XX, è elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

c o n t r o

ROMA CAPITALE (già Comune di Roma), in persona del Sindaco pro tempore;

–  intimato –

 

n o n c h è  c o n t r o

EQUITALIA SUD s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

–   intimata –

 Avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 16092 del 2012, depositata in cancelleria il 9 agosto 2012.

         Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 aprile 2014 dal Presidente relatore Dott. Stefano Petitti;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Aurelio Golia, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso tempestivamente depositato presso l’Ufficio del Giudice di Pace di Roma, E. proponeva opposizione avverso la cartella di pagamento con la quale gli si ingiungeva il pagamento di euro 142,14, per violazione del codice della strada.

         Il ricorrente deduceva la mancata notifica del verbale di accertamento di violazione presupposto alla cartella impugnata e l’illegittima applicazione della maggiorazione per ritardato pagamento.

         Il Giudice di Pace accoglieva il ricorso e annullava la cartella esattoriale impugnata, liquidando le spese in euro 100,00.

         In relazione a tale statuizione il ricorrente impugnava la sentenza dinnanzi al Tribunale di Roma, dolendosi che le spese fossero state liquidate in un importo inferiore sia a quanto richiesto nella nota spese depositata (euro 378,64), sia ai limiti minimi tariffari inderogabili di cui al d.m. n. 127 del 2004 (euro 272,64).

         Si costituivano in giudizio Roma Capitale ed Equitalia Sud s.p.a., chiedendo il rigetto dell’appello.

         Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 16092 del 2012 depositata il 9 agosto 2012, rigettava l’appello, sulla base del nuovo quarto comma dell’art. 91 cod. proc. civ., il quale prevede che nelle cause di cui all’art. 82 cod. proc. civ. la somma riconosciuta a titolo di spese del giudizio non può essere superiore al valore della domanda.

         Avverso tale sentenza, il E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.

         Roma Capitale (già Comune di Roma) ed Equitalia Sud s.p.a. non hanno svolto difese in questa fase.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente solleva questione di legittimità costituzione dell’art. 91, quarto comma cod. proc. Civ., così come introdotto dall’art. 13, comma 1, del decreto legge 22 dicembre 2011, n.212, convertito dalla legge 12 febbraio 2012, n. 10, per l’eventualità in cui non si dovesse pervenire alla non applicazione, ratione temporis, della disposizione stessa nel presente giudizio.

Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il ricorrente sostiene che la limitazione dell’ammontare della liquidazione delle spese al valore della domanda implicherebbe una compressione del diritto alla difesa, inviolabile ex art. 24 Cost. Infatti, pur non essendo necessaria, nelle controversie di competenza del giudice di pace di valore inferiore ad euro 1.100,00, l’assistenza di un legale (ex art. 82, primo comma, cod. proc. civ.), apporre tale limite alla possibile liquidazione delle spese significherebbe imporre contestualmente alla parte di rinunciare tout court al suo diritto alla difesa tecnica, in quanto le si negherebbe la possibilità di un rimborso delle spese effettivamente sostenute.

         Quanto alla rilevanza della questione, il ricorrente sostiene che la stessa sarebbe evidente nel caso in cui si ritenesse applicabile l’art. 91, quarto comma, cod. proc. civ. nel caso di specie, pur se il presente giudizio è iniziato prima della introduzione della disposizione citata. Osserva altresì che il giudice di appello, pur riconoscendo la fondatezza della domanda e pur adeguandosi al criterio della soccombenza nella determinazione del regime delle spese, ha tuttavia applicato la normativa della cui legittimità costituzionale il ricorrente dubita, finendo per liquidare le spese in misura strettamente commisurata all’importo del valore della controversia.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 d.m. 8 aprile 2004, n. 127, dell’art. 4, cap. 1, e delle tariffe ad esso allegate in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere, il giudice di merito, illegittimamente derogato ai limiti minimi tariffari ivi previsti.

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dell’art.91 ultimo comma cod. proc. civ., introdotto dalla legge 17 febbraio 2012, n. 10, di conversione del decreto legge 22 novembre 2011, n. 212, per avere, l’adito Tribunale, liquidato le spese di giudizio per una somma comunque inferiore al valore della causa, ossia per euro 100,00, nonostante nella specie il valore della controversia ammontasse ad euro 142,14; lamenta inoltre violazione dell’art. 92 cod. proc. civ., per avere il Tribunale compensato le spese tra le parti pur in assenza delle gravi ed eccezionali ragioni che l’art. 92 richiede siano espresse in motivazione a fondamento di tale decisione.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in violazione degli artt. 91, 92 cod. proc. civ., 118 cod. disp. att., 132 comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 111 Cost., per non avere il Tribunale di Roma, preso in esame e giustificato il motivo per cui, nonostante la totale soccombenza dell’Amministrazione, nonostante la nota spese depositata in giudizio, e nonostante l’indicazione dei minimi tariffari, avesse ritenuto legittima la riduzione delle spese liquidate rispetto a tutti questi parametri.

Con il quinto motivo, il ricorrente prospetta la violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, del punto 31 del Capitolo V° della CCJE del 17.11.2010 e punto 15 della Magna Carta dei Giudici Europei, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in quanto il diritto alle spese sarebbe da considerarsi bene nel senso tutelato dal Protocollo addizionale e la sua compressione costituirebbe dunque una violazione delle norme e dei principi comunitari.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Il ricorrente eccepisce la illegittimità dell’art. 91, quarto comma cod. proc. civ., introdotto dall’art. 13, comma 1, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212, convertito dalla legge 12 febbraio 2012, n. 10, per l’eventualità in cui questa Corte ritenga la disposizione stessa applicabile nel caso di specie. Il Collegio ritiene, tuttavia, che la disposizione in questione non sia applicabile nel presente giudizio, avente ad oggetto un’opposizione a verbale di accertamento di violazione codice della strada, e che, quindi, la sollevata questione di legittimità costituzionale sia irrilevante.

L’art. 91, quanto comma, cod. proc. civ., dispone che “nelle cause previste dall’art. 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda”.

Ai sensi dell’art. 82, primo comma cod. proc. civ., “davanti al giudice di pace le

parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 1.100”.

Risulta, dunque, evidente che la disposizione di cui all’art. 91, quarto comma, cod. proc. civ., si riferisce alle controversie che, per ragioni di valore, sono attribuite alla giurisdizione equitativa del giudice di pace. In tal senso, rileva l’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ., a norma del quale “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 del codice civile”.

Chiarito, dunque, l’ambito di applicazione dell’art. 91, quarto comma, cod. proc. civ., non può non rilevarsi che, ai sensi dell’art. 23, undicesimo comma, ultima parte, della legge 24 novembre 1981, n. 689, applicabile ratione temporis, atteso che il giudizio di opposizione è iniziato in primo grado nel 2009, “nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace non si applica l’art. 113, secondo comma, del codice di procedura civile”. Tale disposizione, giova osservare, trova applicazione anche nei casi in cui, come quello di specie, oggetto di opposizione sia una cartella di pagamento e il ricorrente lamenti la mancata preventiva notificazione del verbale di accertamento della violazione del codice della strada (c.d. opposizione “recuperatoria”).

Ne consegue che ha errato il Tribunale nel ritenere applicabile il citato art. 91, quarto comma, cod. proc. civ., ad una controversia che, per esplicita previsione legislativa, a prescindere dal suo valore, è soggetta alla regola di giudizio secondo diritto.

La situazione non muta nella disciplina introdotta dal d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (applicabile ai giudizi iniziati dopo il 6 ottobre 2011), il quale, al comma 12 dell’art. 6 (“Dell’opposizione ad ordinanza-ingiunzione”) e al comma 10 dell’art. 7 (“Dell’opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada”), riproduce la disposizione di cui all’art. 23, comma undicesimo, della legge n. 689 del 1981, stabilendo, rispettivamente, che “Nel giudizio di opposizione davanti al giudice di pace non si applica l’articolo 113, secondo comma, del codice di procedura civile” (art. 6, comma 12) e che “Non si applica l’art. 113, secondo comma, del codice di procedura civile” (art. 7, comma 10).

Si deve solo aggiungere che la destinazione che discende dalla interpretazione dell’art. art. 91, quarto comma, cod. proc. civ., non può ritenersi lesiva degli evocati principi costituzionali. La previsione di una limitazione alla liquidazione delle spese nel caso di giurisdizione equitativa del giudice di pace appare rispondente alla possibilità, riconosciuta alle parti dall’art. 82, primo comma, cod. proc. civ., di stare in giudizio di persona e alla presunta non complessità tecnica delle relative controversie. La esclusione della detta limitazione per i giudizi di opposizione a ordinanza-ingiunzione o a verbale di accertamento di violazione del codice della strada, pur se di competenza del giudice di pace e pur se di importo ricompresi entro i 1.100,00 euro, trova invece giustificazione in ciò che tali controversie postulano un giudizio secondo diritto; in tali giudizi, quindi, pur se è prevista la possibilità sia dell’opponente che dell’amministrazione di stare in giudizio di persona (art. 23, comma quarto, della legge n. 689 del 1981; artt. 6, comma 9, e 7, comma 8, del d. lgs. n. 150 del 2011), la difesa tecnica appare in ogni caso giustificata se non indispensabile, tenuto conto della complessità delle questioni che possono essere prospettate anche da provvedimenti sanzionatori di importo inferiore a 1.100,00 euro.

Il primo motivo di ricorso va quindi accolto, con conseguente assorbimento degli altri motivi.

La causa deve essere rinviata al Tribunale di Roma perché, in persona di diverso magistrato, proceda a nuovo esame del gravame proposto facendo applicazione del seguente principio di diritto: “l’art. 91, comma quarto, cod. proc. civ., introdotto dall’art. 13, comma 1, del decreto legge 22 dicembre 2011, n. 212, convertito dalla legge 12 febbraio 2012, n.10, a tenore del quale, nella cause previste dall’art. 82, primo comma, le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possono superare il valore della domanda, opera esclusivamente nelle controversie devolute alla giurisprudenza equitativa del giudice di pace e quindi non si applica alle controversie di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e di opposizione a verbale di accertamento di violazioni del codice della strada, né a quelle di opposizione a cartella di pagamento quando venga denunciata la mancata notifica del verbale di contestazione della violazione”.

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Roma in persona di diverso magistrato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 aprile 2014.

                                                                                 Il Presidente estensore

 

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

ROMA 30 APR. 2014

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