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Contratto a termine e aliunde perceptum

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La Spa Poste Italiane, con ricorso per cassazione avverso una sentenza della Corte di appello di Firenze, in tema di contratto di lavoro a termine, lamenta che la Corte territoriale ha omesso qualsiasi decisione in merito alla richiesta di esibizione dei libretti di lavoro e delle buste paga del lavoratore. Tale richiesta nasceva dall’esigenza della Spa Poste Italiane di addivenire ad una corretta determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti dal lavoratore allo scopo di provare il cosiddetto aliunde perceptum. La Corte di cassazione ribadisce che il mancato accoglimento della richiesta di esibizione di documenti ritenuti indispensabili dalla parte non è sindacabile in cassazione. La valutazione di tale strumento istruttorio è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito.

Studio Legale Avv. Vito Sola
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SENTENZA 7979/15

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANTONIO LAMORGESE                       – Presidente –
Dott. ALESSANDRO DE RENZIS                  – Consigliere –
Dott. VITTORIO NOBILE                                – Consigliere –
Dott. LUCIA TRIA                                             – Consigliere –
Dott. UMBERTO BERRINO                            – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
                                                                       SENTENZA
sul ricorso 12008-2009 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. 97103880585, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma Via Po 25/B, presso lo studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;                                                                                                                                                                                                           – ricorrente
                                                                            contro
R. D. elettivamente domiciliata in ROMA VIA UGO DE CAROLIS N. 31, presso lo studio dell’avvocato VITO SOLA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;                                                                                                                                                                 – controricorrente
avverso il provvedimento n. 748/2008 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/05/2008 R.G.N. 339/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/12/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega verbale PESSI ROBERTO;
udito l’Avvocato SOLA VITO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 16/5 -28/5/09 La Corte d’Appello di Firenze – sezione lavoro ha accolto l’impugnazione di R.D. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Siena, che gli aveva respinto la domanda diretta all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto intercorso con la società Poste Italiane s.p.a. in relazione al periodo 1.10.03 – 15.1.04 nella vigenza del d.lgs n. 368/01, ed in riforma della gravata decisione ha dichiarato che era in atto tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato decorrente dall’1.10.2003, con inquadramento nell’area operativa, ed ha condannato la società postale al pagamento in favore dell’appellante delle retribuzioni maturate dal 16.3.2004 fino alla riammissione in servizio.
La Corte d’appello ha spiegato che dalla lettura della motivazione contenuta nel contratto a termine non si evincevano le concrete ragioni che avevano condotto all’assunzione a tempo determinato del R., non essendo indicati i nominativi del personale che l’appellante avrebbe sostituito e neppure le ragioni che determinavano l’assenza, mentre le prove testimoniali avevano dimostrato che il lavoratore era stato destinato a sopperire croniche carenze di organico.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso la s.p.a. Poste Italiane con cinque motivi illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso R.D.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo la società Poste Italiane s.p.a. si duole della violazione falsa applicazione di norme di diritto e della nullità del procedimento in quanto assume che la Corte d’appello di Firenze, dopo aver chiarito che la disciplina applicabile ratione temporis al caso di specie era il decreto legislativo 368/01, ha finito per accedere ad un interpretazione di tale normativa e dell’art. 11 della Costituzione in maniera del tutto arbitraria e formula il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se il Giudice ordinario quando non trovi la regola “juris” del caso concreto in una norma di diritto comunitario direttamente applicabile possa disapplicare una legge nazionale semplicemente perché questa gli appare in contrasto con un principio generale di diritto comunitario”.
Rileva il collegio che, come più volte affermato da questa Corte, tale quesito (v. fra le altre, Cass. 16-12-2011 n. 27213, Cass. 15-12-2011 n. 27050, Cass. 8-11-2011 n. 23166, Cass. 29-2-2012 n. 3053, Cass. 14-3-2013 n. 6514) risulta inidoneo in quanto assolutamente generico ed astratto.
Questa Corte ha affermato, infatti, che, a norma dell’art. 368 bis c.p.c. (che va applicato nella fattispecie ratione temporis) non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, (Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420); ovvero quando, essendo la formulazione generica e limitata alla riproduzione del contenuto del precetto di legge, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione del corrispondente motivo, mentre la norma impone al ricorrente di indicare nel quesito l’errore di diritto della sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759).
In sostanza il predetto quesito è inammissibile perché del tutto inidoneo a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020).
2. 3. Col secondo e col terzo motivo, dedotti entrambi per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, oltre che per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, al ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto stabilito dalla Corte fiorentina, il decreto legislativo n. 368 del 2001 non stabilisce affatto che nel contratto di assunzione a tempo determinato debbano essere indicati i nominativi dei dipendenti sostituiti o il motivo della sostituzione. A conclusione dei suddetti motivi viene formulato il seguente quesito di diritto: -Dica la Suprema Corte se la causale appositiva del termine al contratto di lavoro stipulato ai sensi del D.lgs. 368/2001 sia già sufficientemente specifica quando indichi la ragione dell’assunzione per esigenze sostitutive, le mansioni del personale assente con diritto alla conservazione del posto, il luogo di applicazione ed il periodo in cui è necessaria la sostituzione considerando anche la complessità e l’ampiezza della società datrice.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione, sono inammissibili.
Invero, anche in tal caso, come per il primo motivo, le relative censure sono altrettanto generiche e astratte. Infatti, anche se la ricorrente afferma che, a suo dire, le ragioni indicate nel contratto individuale erano specifiche, non può non rilevarsi che tale affermazione è rimasta una mera asserzione in quanto non è stata sviluppata in una concreta denuncia di uno specifico vizio della sentenza impugnata e, del resto, neppure ha trovato un minimo riscontro nel quesito, identico per i due motivi.
4. Col quarto motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per violazione falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e per vizio di motivazione, la ricorrente sostiene che la sentenza è errata nella parte in cui è affermato che la società non ha indicato, né nel contratto, né nella successiva memoria, i nominativi del personale che il R. avrebbe sostituito e neppure le ragioni che determinavano l’assenza. La ricorrente osserva che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte, dal documento n. 26 di primo grado, richiamato nella memoria depositata il 26.4.2004, risultava la prova delle esigenze sostitutive.
Il motivo è infondato, atteso che il richiamo al suddetto documento non supera la “ratio decidendi” posta a base della decisione di accertamento dell’illegittimità del termine, Invero, la Corte, nel porre in rilievo la genericità della causale adottata per l’assunzione a termine del R. con riguardo alla singola realtà lavorativa ove il medesimo era stato inserito, ha fatto anche esplicito riferimento, tra l’altro, all’esito delle prove testimoniali, dalle quali era emerso che l’appellante era stato destinato a sopperire croniche carenze di organico per espletare mansioni che da molti anni venivano affidate a personale precario assunto a termine. In realtà, il richiamo al predetto documento, del quale non è nemmeno dimostrata la decisività ai fini della soluzione della causa, finisce per rivelarsi un inammissibile tentativo di rivisitazione nel giudizio di legittimità di aspetti del merito istruttorio adeguatamente valutato dalla Corte territoriale.
5. Col quinto motivo, dedotto per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e per vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello ha omesso qualsiasi decisione in merito alla richiesta volta a far ordinare l’esibizione dei libretti di lavoro e delle buste paga del R. al fine di consentire una corretta determinazione degli eventuali corrispettivi dal medesimo percepiti per le attività svolte nell’interesse di terzi allo scopo di provare l’aliunde perceptum.
Il motivo è inammissibile
La ricorrente, infatti, non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale è pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr., Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8-2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -.
Né è censurabile in questa sede il mancato accoglimento della richiesta di esibizione di documentazione (libretti di lavoro e busta paga) che (peraltro in tempo e in modo non precisato) sarebbe stata avanzata dalla società. Come questa Corte ha più volte chiarito, “il rigetto da parte del giudice di merito dell’istanza di disporre l’ordine di esibizione al fine di acquisire al giudizio documenti ritenuti indispensabili dalla parte non è sindacabile in cassazione, perché trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova del fatto non sia acquisibile aliunde e l’iniziativa non presenti finalità esplorative, la valutazione della relativa indispensabilità è rimessa al potere discrezionale del giudice di merito e non necessita neppure di essere esplicitata nella motivazione, il mancato esercizio di tale potere non essendo sindacabile neppure sotto il profilo del difetto di motivazione” (v. fra le altre Cass. 14-7-2004 n. 12997, Cass. sez, 1 17-5-2005 n. 10357, Cass. sez. 3 2-2-2006 n. 2262).
D’altra parte “l’esibizione di documenti non può essere chiesta a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio” (v. fra le altre Cass. 20-12-2007 n. 26943).
Così risultato inammissibile l’ultimo motivo, riguardante le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo “ius superveniens”, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico come da dispositivo, con loro attribuzione all’Avv. Vito Sola, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente nella misura di Euro 3000,00 per compensi professionali, e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge, con attribuzione.
Così deciso in Roma l’11 dicembre 2014
Il Consigliere estensore                                                                Il Presidente
Dr. Umberto Berrino                                                            Dr. Antonio Lamorgese

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
oggi 20 APR. 2015

 

 

 

 

 

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