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I balconi non costituiscono parti comuni dell’edificio

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 La Corte di Cassazione afferma che  i  balconi non costituiscono parti comuni dell’edificio, ma, in linea generale,  devono considerarsi appartenenti esclusivamente al proprietario dell’unità immobiliare corrispondente, della quale costituiscono naturale prolungamento e pertinenza.  Nell’ipotesi in cui siano presenti nei balconi elementi decorativi (quali il rivestimento della fronte o della parte sottostante della soletta, frontalini e pilastrini) che costituiscono un ornamento della facciata, non solo la individuazione di tali elementi, ma anche la loro funzione architettonica e il conseguente regime di appartenenza (condominiale se assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole il complesso edilizio, di pertinenza dell’appartamento di proprietà esclusiva quando servono solo al decoro di quest’ultimo) andrà analizzato caso per caso, in base al criterio della loro funzione prevalente.

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SENTENZA 08159/96

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZ. II CIVILE

Composta dai Sig.ri Magistrati

dott. Antonio Patierno             Presidente

dott. Italico Libero Troja         Consigliere

dott. Giuseppe Moscato           Consigliere

dott. Franco Paolella                Consigliere

dott. Giuseppe Boselli              Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

DA

C.A. elettivamente domiciliato in Roma via V. 35 presso l’avv. M.C. che lo difende per delega a margine del ricorso

RICORRENTE

CONTRO

M.L , L.F e C.M.C – quale erede di C.A -, elettivamente domiciliati in Roma P.zza S. 9, presso l’avv. A.G. che li difende per delega a margine del controricorso

CONTRORICORRENTI

nonché

CONTRO

F.A

INTIMATO

 

per la cassazione della sentenza n. 4879/93 dep. il 25.03.1993 del Tribunale di Roma.

Il cons. rel. dott. Giuseppe Boselli svolge la relazione della causa.

Sentito il P.M, in persona del Sost. Proc. Gen. dr. Nardi, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso e il rigetto del secondo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.A, condomino di edificio sito in Roma, premesso che la caduta di frammenti di intonaco dai balconi sovrastanti di proprietà dei condomini M.L., L.F., C.A., F.A, M.F. e B.L. aveva pregiudicato il godimento del proprio giardino, conveniva i predetti  in giudizio, avanti il pretore di Roma, chiedendone la condanna in solido al risarcimento del danno.

Si costituivano i convenuti – ad eccezione di B.L. che rimaneva contumace – contestando la fondatezza della domanda attorea e chiedendone il rigetto.

M.L. e M.F. proponevano altresì domanda riconvenzionale di condanna di C.A. alla demolizione della tettoia che assumevano da questi realizzata in aderenza al balcone di M.L. e con pregiudizio, altresì, per tutti i condomini risultandone favorito l’accesso di estranei all’area condominiale.

Il pretore rigettava entrambe le domande.

Con sentenza in data 5.02.1993 il Tribunale di Roma, pronunciando sull’appello principale proposto da C.A e sull’impugnazione incidentale inoltrata da M.L e L.F. , in parziale riforma della sentenza impugnata, ha, tra l’altro, accolto la domanda di M.L. (l’appello incidentale di L.F. era dichiarato inammissibile) di condanna di C.A. alla demolizione della tettoia, confermando l’appellata sentenza in punto al rigetto della domanda proposta da C.A.

Rilevava il Tribunale carenza di prova in ordine alla individuazione dei soggetti (I proprietari delle unità immobiliari corrispondenti ai balconi, oppure il condominio ) “in concreto tenuti alle spese di manutenzione” dei balconi medesimi e, quindi, responsabili del danno cagionato; riteneva poi che la tettoia, dalla C.A.  a “distanza estremamente ravvicinata” dal balcone di M.L. , era “lesiva della proprietà” dello stesso.

Avverso tale decisione C.A. propone ora ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

M.L , L.F e C.M.C, quale erede di C.A, resistono con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta che il Tribunale – provata da esso attore la provenienza del danno dai balconi – non abbia ritenuto operante una presunzione di appartenenza esclusiva dei medesimi ai proprietari delle unità immobiliari corrispondenti e non abbia adottato la pronuncia conseguente in ordine alla responsabilità, volta che i convenuti non avevano superato detta presunzione provando la sussistenza di circostanze (“fregi” o altri “elementi decorativi”) idonee ad “attrarre detta posizione immobiliare nell’ambito della disciplina delle cose comuni ex art. 1117 c.c.”.

È fondato.

Secondo l’indirizzo giurisprudenziale di questa corte – da cui non si ha motivo di dissentire – i  balconi, essendo elementi accidentali – privi, pure, di funzione portante – rispetto alla struttura del fabbricato e non essendo destinati all’uso comune, ma soltanto all’uso e godimento di una parte dell’immobile oggetto di proprietà esclusiva, non costituiscono parti comuni dell’edificio, ma devono considerarsi appartenenti esclusivamente al proprietario dell’unità immobiliare corrispondente, della quale costituiscono naturale prolungamento e pertinenza (v. Cass. 30.07.1981 n 4861, 10.09.1986 n 5541, 29.10.1992 n 11775 , 23.06.1995 n 7148).

Nei balconi possono  – eventualmente – anche ricorrere elementi decorativi (quali il rivestimento della fronte o della parte sottostante della soletta, frontalini e pilastrini) che costituiscono un ornamento della facciata, assimilabili, per tale loro funzione – ai sensi dell’art. 1117 c.c. – alle parti comuni dell’edificio; però non solo la individuazione di tali elementi, ma anche la loro funzione architettonica e il conseguente regime di appartenenza (condominiale se assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio, di pertinenza dell’appartamento di proprietà esclusiva quando servono solo al decoro di quest’ultimo) non possono definirsi in astratto, ma devono essere effettuati in concreto, caso per caso, in base al criterio della loro funzione prevalente (v. Cass. 3.08.1990 n 7831, Id. 28.11.1992 n 12792).

Pertanto, una volta non revocato in dubbio – nel caso di specie – che la causa del danno lamentato dall’attore era da ravvisare proprio nei balconi sovrastanti, i proprietari delle unità immobiliari corrispondenti, cui – in applicazione dei cennati principi – i balconi appartenevano, dovevano essere ritenuti esclusivi responsabili del danno cagionato (v. , in termini , Cass. 10.09.1986 n 5541).

Incombeva, se mai, a costoro l’onere di provare – al fine di esimersi da responsabilità – la eventuale esistenza di elementi decorativi che – anche in considerazione della funzione loro – potessero essere assimilati alle parti comuni dell’edificio e provare, altresì, la imputabilità dell’evento di danno agli elementi medesimi e, in definitiva, al condominio, tenuto alla loro manutenzione.

Non avendo i convenuti ottemperato a detto onere, non poteva il giudice di merito – argomentando in astratto e per tesi “in tema di ripartizione delle spese di manutenzione dei balconi” – assolverli da detta responsabilità.

Con il secondo motivo il ricorrente adduce che la domanda di M.L. era da ritenersi infondata sia perché egli aveva acquistato per usucapione il diritto a mantenere la tettoia in questione, sia per essere inesistente e, comunque , non provato il pericolo addotto a sostegno della domanda stessa.

La questione introdotta con la prima censura costituisce un sistema difensivo del tutto nuovo, che non ha formato oggetto del thema decidendum del giudizio di secondo grado, ed è pertanto da ritenersi inammissibile.

La seconda censura non è fondata posto che il pregiudizio derivante, alla proprietà di M.L, dalla tettoia costruita da C.A è stato ritenuto dal giudice di merito con accertamento in fatto (pregiudizio conseguente alla “distanza estremamente ravvicinata” del manufatto realizzato da C.A., tale da “favorire l’accesso di terzi nell’appartamento“ del predetto “attraverso il balcone”) fondato su corretta e adeguata valutazione delle risultanze probatorie (documentazione fotografica prodotta) e si sottrae pertanto al sindacato di legittimità.

Consegue che deve accogliersi il primo motivo del ricorso e rigettarsi il secondo, cassarsi la sentenza impugnata e rinviarsi la causa per un nuovo esame ad altra sezione dello stesso Tribunale che provvederà anche sulle spese di questo giudizio.

 P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per un nuovo esame ad altra sezione del Tribunale di Roma che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Il Consigliere est. (Dr. Giuseppe Boselli)

Il Presidente (Dr. Antonio Patierno)

 

 

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma, 13.02.1996

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