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Inammissibilità del ricorso per cassazione

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E’ sanzionato con la declaratoria di inammissibilità il ricorso in cassazione che non contiene l’esposizione sommaria dei fatti di causa. La detta esposizione è preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa con eliminazione delle questioni non più controverse.

Studio Legale Avv. Vito Sola
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SENTENZA 24650/15

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giuseppe Napoletano     – Presidente –
Dott. Adriana Doronzo      – Rel. Consigliere –
Dott. omissis                           – Consigliere –
Dott. omissis                           – Consigliere –
Dott. omissis                           – Consigliere –
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 6995-2014 proposto da:
D. G. A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PIETRALATA 140, presso lo studio dell’avvocato SAUL GUERRA, rappresentato e difeso dall’avvocato ROSITA DI LORENZO, giusta delega in atti;

– ricorrente

contro

C.C., D. G. S., D. G. G.: Eredi di D. G. F. tutti elettivamente domiciliati in ROMA VIA LAZZARO SPALLANZANI N. 22 presso lo studio dell’avvocato ORLANDI MAURO, che li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti

contro

Eredi di D. G. F.: D. G. F., D. G. M. E.

– intimati

avverso la sentenza n. 1349/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 30/01/2014 R.G.N. 1345/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6/10/2015 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e incidentale.

Svolgimento del processo

1. F. D. G. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Avezzano il fratello A. D. G. per chiedere che fosse accertata la costituzione di una società di fatto con il fratello e che fosse altresì dichiarato il suo diritto di comproprietà, nella misura del 50%, su quattro unità immobiliari, indicate nel catasto di Avezzano al foglio 54, particelle 536, 537, 538 e 539, in quanto edificate con denaro della società, e da lui acquistate per usucapione;
2. A. D. G. si costituì e, contestando la domanda, eccepì l’esistenza tra le parti di un’impresa familiare ai sensi dell’art. 230 bis c.c.; in via riconvenzionale, chiese che si procedesse alla divisione dei beni con rendimento dei conti e relative imputazioni, previa declaratoria dello scioglimento dell’impresa. Il giudizio fu esteso anche alla loro madre, F. A., e alla sorella M. E. D. G., in quanto componenti dell’impresa familiare, le quali aderirono alla domanda di A.
3. Nel corso del giudizio il giudice rilevò che le due domande – la principale e la riconvenzionale – erano soggette a riti diversi, ovvero al rito ordinario la prima e al rito del lavoro la seconda, e pertanto rimise gli atti al presidente del tribunale, che provvide ad assegnarle entrambe al giudice del lavoro.
4. omissis
5. omissis
6. Con sentenza depositata in data 30 gennaio 2014 la Corte d’appello dell’Aquila ha dichiarato inammissibili gli appelli ed ha compensato integralmente tra le parti le spese del processo.
7. omissis
8. omissis

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo il ricorrente censura la sentenza per la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 342, comma 1°, e 434, comma 1°, c.p.c. e assume di aver rispettato totalmente lo spirito della riforma suindicata, puntualizzando i punti della sentenza oggetto del gravame, indicando gli errori commessi dal giudice e le correzioni richieste.
2. Il ricorso, così come formulato, non merita accoglimento, anche in ragione dei plurimi ed evidenti profili di inammissibilità. Deve in primo luogo rilevarsi che esso non rispetta il requisito previsto dall’art. 366, n. 3 c.p.c., che richiede “a pena di inammissibilità, … l’esposizione sommaria dei fatti di causa”. Nell’interpretazione di detta norma le Sezioni Unite di questa Corte hanno sottolineato che la prescrizione è preordinata ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass., Sez. Un. 17 luglio 2009, n. 16628).
Con la successiva ordinanza del 9 settembre 2010, n. 19255, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore come un’attività di narrazione del difensore che, in ragione dell’espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria postula un’esposizione dei finalizzata a riassumente sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio sia lo svolgimento del processo.
Il principio è stato ulteriormente confermato dalla sentenza Sez. Un. 11 aprile 2012, n. 5698, con cui si è ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1°, n. 3, la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si è articolata; per altro verso, è inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso.
3. Nel caso in esame, il ricorrente si è diffuso ad illustrare l’intero svolgimento del processo per circa quaranta pagine, in esse comprese la trascrizione integrale delle conclusioni rassegnate nelle varie fasi del giudizio anche dalle controparti, dell’ordinanza con cui il giudice del Tribunale ha disposto la trasmissione degli atti al presidente per i provvedimenti sul mutamento di rito, del testo della sentenza impugnata, nonché stralci delle dichiarazioni rese dalle parti o dai testimoni. Dopo tale narrazione, compiuta servendosi della tecnica dell’assemblaggio, nella “Sezione A.1)” della “Sezione Va)”, sotto il titolo “Motivi di ricorso”, il ricorrente riporta per oltre sei pagine gli “Orientamenti giurisprudenziali” sulla nuova formulazione degli artt. 342 ee 434 c.p.c., per giungere finalmente a formulare il motivo di ricorso.
Da quanto esposto, è evidente che è del tutto mancata la sommarietà dell’esposizione dei fatti, sommarietà che non può essere ravvisata nella trascrizione di atti e verbali, come le comparse conclusionali o le deposizioni testimoniali, mescolate a considerazioni di carattere giuridico (v. ad esempio, pagg. 7 e ss. del ricorso), senza alcuna distinzione neppure di carattere grafico tra le diverse parti (se non per quelle pedissequamente ricopiate e scritte in grassetto), e senza la specifica indicazione della attuale collocazione nel fascicolo di cassazione di tali atti e verbali, peraltro non depositati unitamente al ricorso, secondo quanto prescrive l’art. 369, comma 2°, n. 4, c.p.c. Sotto quest’ultimo aspetto, nonostante la sovrabbondanza dell’atto, il ricorrente non assolve neppure l’onere di autosufficienza del ricorso per cassazione, che va rispettato anche nel caso in cui si deducano, come nel caso in esame, errore in procedendo (Cass. Sez, Un. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2011, n. 22726).
9. Il ricorso è comunque infondato nel merito.
Al riguardo alcune premesse sono necessarie alla luce della nuova formulazione dell’art. 434 c.p.c., disposta, in modo speculare, alla riformulazione dell’art. 342 c.p.c., dall’art. 54, comma 1°, lett. c) bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n. 134, e applicabile ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato (o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione) dal 30° giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto /12 agosto 2012). Poiché, secondo quanto risulta dalla intestazione della sentenza della corte aquilana, il ricorso in appello è stato depositato in data 25/10/2012, la norma in esame trova qui applicazione.
10. Con la modifica dell’art. 434 c.p.c. il legislatore ha riscritto l’oggetto e il contenuto dell’appello nelle causa di lavoro (analogamente a quanto previsto per l’appello nel rito ordinario), eliminando il riferimento all’ “esposizione sommaria dei fatti” e ai “motivi specifici dell’impugnazione”, e prevedendo invece la “motivazione dell’appello” la quale va strutturata seguendo una duplice prescrizione: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intendono appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuto dal giudice di primo grado, e 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione di legge e della loro rilevanza ai fini della decisione.
11. omissis
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22. Appare evidente, come a fronte di una motivazione fondata su un’articolata sequenza di fatti, una ragionata valutazione delle prove e su consequenziali considerazioni giuridiche, l’appello si presenti assolutamente generico, sì da impedire la delimitazione degli specifici segmenti del percorso argomentativo adottato dal tribunale che si intendono censurare; non risultano esposte, se non in modo apodittico e comunque non pertinente, le ragioni del gravame, sicché la parte argomentativa non vale a confutare le molteplici argomentazioni poste dal primo giudice a fondamento dell’adottata decisione. Deve pertanto condividersi il rilievo svolto nella sentenza impugnata, secondo cui le censure si risolvono in una mera riproposizione della tesi giuridica già esposta in primo grado, inidonea ad enucleare con esattezza i termini dell’impugnazione e di identificare il thema decidendi che si intendeva sottoporre al giudice superiore, nonché ad incrinare il fondamento logico giuridico della sentenza impugnata.
23. In forza di queste considerazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento, in favore dei contro ricorrenti, delle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo. Nessun provvedimento sulle spese deve adottarsi con riguardo alle parti rimaste intimate. Poiché il ricorso è stato notificato in data successiva al 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore dei contro ricorrenti liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 3.300 per compensi professionali, oltre oneri accessori come per legge. Nulla per le parti rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Roma, 6 ottobre 2015.
Il Relatore                                                                                 Il Presidente
Adriana Doronzo                                                           Giuseppe Napoletano

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