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Legge 104 del 1992 e trasferimento del lavoratore

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Il Tribunale di Roma, nella sentenza 4568/2023, interviene in tema di trasferimento del lavoratore ai sensi della legge 104 del 1992.  L’art. 33, co. 5 della L. n. 104/1992 prevede: “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu’ vicina al domicilio della persona da assistere e non puo’ essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”.  Il diritto al trasferimento in parola non è assoluto o illimitato, ma va bilanciato con l’interesse datoriale a non subire una diminuzione dell’efficienza economica e organizzativa dell’impresa, in quanto tale interesse ha rilevanza costituzionale pari a quello, contrapposto, perseguito dal lavoratore. Pertanto, il diritto del lavoratore può in effetti cedere solo dinanzi a “rilevanti esigenze economiche, organizzative o produttive dell’impresa” appunto in base alla valutazione delle “situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere” (Cass. SU n. 7945/2008), fermo restando che grava sul datore di lavoro l’onere di provare le ragioni organizzative, tecniche e produttive che impediscono l’accoglimento della richiesta del dipendente (Cass. n. 23857/2017).

 

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                                                    SENTENZA 4568/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

I SEZIONE LAVORO

RG 4488 2022

Il Giudice designato, dr.ssa Maria Casola, in funzione di Giudice del lavoro, all’esito dell’udienza del 20/04/2023, svoltasi nelle modalità della trattazione

scritta ai sensi della vigente normativa, ha depositato la presente:

SENTENZA

nella causa in materia di lavoro proposta da:

G.A. (avv. Vito SOLA)

ricorrente

contro

P. I. SPA (avv. R. S.)

resistente

Conclusioni delle parti: come in atti

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso iscritto telematicamente in data 10/02/2022 e ritualmente notificato in data 14 marzo 2022, la Sig.ra A. ha convenuto in giudizio P. I. S.p.A., rassegnando le seguenti conclusioni:

“A). In via principale, accertare e dichiarare che la ricorrente Sig.ra G. A. ha diritto al trasferimento ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 presso la sede di Grosseto ovvero presso altra sede nella provincia di residenza della Sig.ra G. A.  con decorrenza giuridica dalla data di presentazione della prima domanda di trasferimento;

B) per l’effetto, condannare la S.p.A. P. I. al trasferimento della ricorrente Sig.ra G.  ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 presso la sede di Grosseto con decorrenza giuridica dalla data di presentazione della prima domanda di trasferimento ovvero presso altra sede nella provincia di residenza della Sig.ra G. A.;

C) per l’effetto, condannare la S.p.A. P. I. al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo diniego al trasferimento della ricorrente Sig.ra G. ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 presso la sede di Grosseto quantificabile alla data di deposito in € 2.700,00, ovvero in quella minore o maggiore somma che apparirà di giustizia, salve successive occorrende sino all’effettivo soddisfo della pretesa;

D) in ogni caso, condannare la S.p.A. P. I. al pagamento delle spese generali, forfettarie, ed in via equitativa anche le ulteriori spese sostenute nello svolgimento dell’incarico – come stabilito dalla Cassazione, Sezioni Unite, sent. n. 31030/2019 – compenso professionale, oltre rimborso forfettario, iva e cap come per legge, in favore del sottoscritto procuratore che si dichiara antistatario ex art. 93 c.p.c.”.

A sostegno di tale domanda veniva dedotta la circostanza per la quale la ricorrente è l’unica familiare ad assistere la nonna, Sig.ra L.  C. , portatrice di handicap con connotazione di gravità ex art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, residente a Grosseto. Inoltre, la lavoratrice allegava di essere assegnata al Centro Distribuzione – CD – di Busalla (Genova), e di avere presentato domanda di mobilità per la sede grossetana con esito negativo.

Pertanto, sviluppati ampi argomenti, formulava le predette conclusioni.

P..I. S.p.A. si costituiva in giudizio e, nel contestare integralmente il contenuto dell’avverso ricorso, per ragioni di fatto e di diritto, ne chiedeva l’integrale rigetto.

All’esito della odierna udienza, svoltasi nelle modalità della trattazione scritta, lette le note di trattazione scritta depositate tempestivamente, il giudice ha depositato la presente sentenza.

In via introduttiva, data anche la complessità del giudizio, è bene precisare che la presente sentenza viene redatta secondo principi di sintesi, ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dell’art. 16-bis comma 9-octies del D.L. n. 179 del 2012, come modificato dal D.L. 83/2015 conv. nella L. 132/2015.

Inoltre, questo giudice ricorda che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 13747/2004 e successive conformi) occorre attenersi al “processo di mutamento della motivazione (nel senso di una sua semplificazione-schematizzazione).. e di semplificazione del linguaggio istituzionale, in coincidenza ad una presunzione di legittimità delle attività degli organi istituzionali e con uno speculare obbligo di contestazione della stessa da parte dei suoi destinatari”. Con la conseguenza che il giudicante non deve arrivare ad estrinsecare la “specifica individuazione delle fonti probatorie ritenute idonee a suffragare la ricostruzione fattuale operata”, ma ben adempie al proprio obbligo semplicemente con l’”attestare di avere compiuto le predette operazioni con una formula sintetica.. la quale attesti che i fatti (da lui individuati) hanno trovato riscontro nell’istruttoria documentale e/testimoniale”.

E’ ben consentito, dunque, anche a questo giudice adempiere al proprio obbligo di motivazione con l’enunciazione sintetica delle fonti del proprio convincimento in ordine alla ricostruzione dei fatti storici ritenuti rilevanti ai fini della decisione.

I fatti storici rilevanti ai fini della decisione sono tutti documentalmente provati e, comunque, sostanzialmente non contestati per quanto di possibile rilievo.

La ricorrente, assunta in data 5.9.2019 con contratto a tempo indeterminato, con mansioni di portalettere junior ed inquadramento al livello E del CCNL P.del 30.11.2017, ha scelto, in fase assunzionale, di essere assegnata al Centro Distribuzione – CD – di Busalla (Genova), dove è attualmente impiegata.

Risulta, altresì, ex tabulas che la A.  abbia acquisito la posizione di soggetto prestatore di assistenza in favore della Sig.ra L. C., sua nonna, portatrice di handicap con connotazione di gravità ex art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, risiedendo presso la medesima in quanto persona anziana, bisognosa di assistenza continuativa e permanente.

In data 6 settembre 2020, la A. ha presentato domanda di mobilità per la sede grossetana e, in data 24 agosto 2020, quella di godimento dei permessi mensili ex l. n. 104/1992 e il 22 aprile 2021 ha richiesto di poter essere trasferita nella sede più vicina disponibile alla propria residenza, all’interno della provincia di Grosseto, con esito negativo.

Con raccomandata a mezzo pec del 6 ottobre 2021, la A.  ha rinnovato la richiesta di trasferimento presso la sede di Grosseto, senza ottenere il risultato auspicato.

Tanto premesso, in linea di diritto, occorre ricordare che l’art. 33, co. 5 della L. n. 104/1992 prevede: “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro piu’ vicina al domicilio della persona da assistere e non puo’ essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”.

Secondo i noti arresti del Giudice di legittimità, il diritto al trasferimento in parola non è assoluto o illimitato, ma va bilanciato con l’interesse datoriale a non subire una diminuzione dell’efficienza economica e organizzativa dell’impresa, in quanto tale interesse ha rilevanza costituzionale pari a quello, contrapposto, perseguito dal lavoratore. Pertanto, il diritto del lavoratore può in effetti cedere solo dinanzi a “rilevanti esigenze economiche, organizzative o produttive dell’impresa” appunto in base alla valutazione delle “situazioni fattuali a fronte delle quali si intenda farlo valere” (Cass. SU n. 7945/2008), fermo restando che grava sul datore di lavoro l’onere di provare le ragioni organizzative, tecniche e produttive che impediscono l’accoglimento della richiesta del dipendente (Cass. n. 23857/2017).

Ai fini di un’esatta impostazione del tema d’indagine, occorre tuttavia tenere conto del mutamento del quadro normativo sovranazionale dovuto all’art. 26 della Carta di Nizza e specialmente alla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18. Inoltre, non può essere trascurato il progressivo assestamento della direttiva n. 2000/78/Ce, sulle discriminazioni per ragioni di handicap, nel senso che essa comprende la disabilità del parente del lavoratore non disabile (Corte giust. Ce, 17 luglio 2008, causa n. C-303/06); la condanna per inadempimento del nostro Paese per scorretta trasposizione della citata direttiva (Corte giust. Ue, 4 luglio 2013, causa n. C-312/11) cui ha fatto seguito la esplicita consacrazione legislativa dell’obbligo, per tutti i datori di lavoro pubblici e privati, di adottare “accomodamenti ragionevoli” nei luoghi di lavoro come definiti dalla citata Convenzione Onu (art. 3, comma 3-bis, d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216).

Anche rispetto alla decisione della presente controversia, bisogna quindi confrontarsi con una prospettiva ulteriore, e ancora più avanzata rispetto all’interpretazione costituzionalmente orientata della legge n. 104 del 1992, già indicata da Cass. 7 giugno 2012, n. 9201, che ha riconosciuto il beneficio della inamovibilità senza il proprio consenso al lavoratore che assista un familiare affetto da disabilità non grave, salva la prova di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte.

In particolare, come puntualmente chiarito dalla Suprema corte (n. 22421/2015), la rilevanza dei vincoli normativi derivanti dalle fonti sovranazionali si coglie nell’affermazione a carico del datore di lavoro “del dovere di astenersi dal disporre l’impugnato trasferimento come dovere di osservanza della citata Convenzione Onu e come applicazione sia pure indiretta dell’obbligo di porre in essere gli “accomodamenti ragionevoli” dei luoghi di lavoro per tutelare le persone con disabilità”.

Come di recente ribadito dalla Corte di appello di Roma (sentenza n. 5118/2022), l’interpretazione costituzionalmente orientata e conforme al diritto dell’Unione dell’art. 33, co. 5 citato oggi offre, ed anzi impone, ulteriori strumenti per definire la modalità con cui condurre, in concreto, il predetto bilanciamento d’interessi.

Invero, come osservato nella citata sentenza, le cui argomentazioni sono qui pienamente condivise e testualmente richiamate, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., “lo scopo della L. n. 104/1992 è di tutelare, sotto l’egida degli artt. 2, 32 e 38 Cost., il diritto del disabile all’espressione piena della sua personalità e delle sue relazioni sociali, rimuovendo gli ostacoli che vi si frappongono, scopo che è perseguito anche attraverso la previsione di misure che agevolano l’intervento dei familiari lavoratori che di loro si occupano (argomenta da Cass. n. 8793/2020, Corte Cost. n. 215/1987, n. 203/2013, n. 232/2018).

Di poi, la Direttiva 2000/78/CE, attuata nell’ordinamento nazionale con il D.Lgs. n. 216/2003, nello stabilire il quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro indipendentemente dalla situazione di handicap (che qui interessa), prescrive a tal fine al datore di lavoro l’adozione di “accomodamenti ragionevoli” della sua organizzazione d’impresa, ossia l’adozione di quelle modifiche e adattamenti necessari e appropriati, che, senza imporre un onere sproporzionato o eccessivo, siano comunque idonei a consentire la rimozione dei predetti ostacoli.

La Corte di Giustizia ha peraltro chiarito che tale Direttiva si applica anche ai familiari lavoratori che prestano assistenza al portatore di handicap (v. sentenza 17 luglio 2008, Coleman C-303/06)”.

Orbene, esaminando i fatti di causa nel descritto quadro normativo e giurisprudenziale, osserva questo giudice che la parte ricorrente ha provato i fatti costitutivi del suo diritto al trasferimento in una delle sedi lavorative rivendicate in giudizio.

Invero, è pacifico in causa che il lavoratore goda dei benefici di cui alla L. n.104/1992 in favore della nonna, portatrice di handicap grave, con cui peraltro risiede.

  1. I. spa, di contro, non ha provato adeguatamente i fatti impeditivi dell’insorgenza di tale diritto.

In particolare, rammentato che la lavoratrice ha presentato due domande di trasferimento ex art. 33, co. 5 citato, si rileva che, dai dati emergenti dai report della situazione del PTL di Grosseto Provincia e dagli altri documenti prodotti dalla società non emerge, né resta adeguatamente dimostrata l’impossibilità del trasferimento della dipendente, né comunque si ricava l’esistenza di circostanze concrete effettivamente ostative all’esercizio del diritto azionato, né comunque risulta l’adozione da parte datoriale di “accomodamenti ragionevoli” della sua organizzazione d’impresa.

Infatti, in primo luogo, si deve osservare che i report prodotti sono riferiti a diverse zone della provincia unitariamente considerate e ad una pretesa situazione di eccedentarietà che, secondo la tesi prospettata, dovrebbe scaturire di necessità dal superamento della percentuale del 110%.

Tuttavia, il giudice rileva che tali elementi non concretizzano circostanze di per sé ostative al trasferimento della parte o almeno risultano valutabili come tali sulla base di un principio di ragionevolezza.

Invero, va considerato che l’accordo sindacale dell’8.2.2018, invocato da P.  quale fonte negoziale del criterio percentuale menzionato, nell’ambito della clausola relativa al personale di “scorta”, qualifica la percentuale del 110% quale “copertura minima per provincia.. calcolata sul numero complessivo dei servizi dedicati previsti per la provincia medesima”.

Quindi, il dato percentuale scelto è riferito ad un dato minimo, inoltre tale valore deve essere conteggiato sulla base del numero complessivo dei servizi dedicati della singola provincia, profilo questo non sufficientemente chiarito ai fini che interessano.

Inoltre, come già rilevato dalla Corte d’appello capitolina, nella sentenza richiamata, il dato occupazionale relativo alla copertura provinciale dell’organico esprime un valore numerico astratto correlato ad un rapporto tra forza lavoro e ambito provinciale di riferimento, non adeguatamente esplicitato e chiarito.

In tale prospettiva, va invero sottolineato, come già ritenuto dalla Corte d’appello nel medesimo arresto più volte richiamato, “che le esigenze economiche, organizzative o produttive dell’impresa, a fronte delle quali il diritto del lavoratore al trasferimento ex L. n. 104 cede, devono essere importanti “in concreto” e tali da non poter essere fronteggiate con “aggiustamenti ragionevoli”, condizioni queste non desumibili con l’adeguatezza necessaria ex art. 2697 cc dal predetto mero dato numerico, giacché questo dato, ove non corredato -come nel caso di specie- da altri convergenti significativi elementi, non descrive all’evidenza la “qualità” della situazione occupazionale e l’insuscettibilità di quella articolazione aziendale a modifiche integrate anche solo dall’introduzione di un ulteriore lavoratore”.

Anche nel presente giudizio tale onere datoriale non risulta sufficientemente adempiuto e si ribadisce l’insufficienza del dato numerico prospettato – mera espressione del rapporto tra forza

 

lavoro/ambito territoriale – a dimostrare che la situazione organizzativa di quel contesto aziendale sia tale da dover prevalere sul diritto del lavoratore al trasferimento.

L’insufficienza probatoria segnalata si prospetta viepiù significativa ove si consideri che parte ricorrente ha dedotto che “nell’ottobre 2020, la S.p.a. P.  I.  comunicava l’apertura di un posto full time nella provincia di Grosseto e la disponibilità di due posti nel settore PCL (Posta, Comunicazione e Logistica)” e che “nelle liste di mobilità nazionali nella provincia di Grosseto per il settore PCL risulta iscritta una sola risorsa che, ad oggi, svolte altrove le proprie mansioni”, fatti rispetto ai quali la società non ha fornito chiarimenti adeguati.

A tal fine, è molto importante considerare che l’istituto del trasferimento ex art. 33 della legge n. 104/1992 ha natura autonoma e distinta rispetto alle ordinarie e comuni procedure di mobilità orizzontale del personale, infatti, nel caso del congiunto del portatore di handicap grave ci si trova di fronte ad un diritto soggettivo di fonte legale che ha natura tendenzialmente assoluta, col solo limite della possibilità di rispetto delle esigenze organizzative datoriali.

Quindi, trattasi di diritto individuale tutelato non in modo comparativo o in concorso con altri aspiranti, quindi sulla base di graduatorie e punteggi, ma tendenzialmente in via diretta e col solo limite indicato, quindi all’interno di una corsia preferenziale riservata. In tale prospettiva, è bene ulteriormente chiarire che il diritto al trasferimento ex art 33 c 5 L 104/92 è fondato direttamente sulla legge, senza peraltro necessità di essere recepito in accordi sindacali ed anzi prevale sugli accordi stessi se contrastanti.

Inoltre, pur tenendosi conto della sentenza della Suprema Corte n. 35105/22, vale osservare che, nel caso in esame, gli accordi sindacali sulla mobilità non contemplano gli interessi tutelati dalla L. n. 104/92 e quindi, neanche in ipotesi, possono ritenersi attuativi di tali posizioni giuridiche soggettive.

In virtù di tali elementi, il sistema di gestione della mobilità volontaria adottato in generale da P. I. S.p.A non ha diretta incidenza sul diritto qui azionato e non può avere portata prevalente, né effetti condizionanti sul medesimo.

In tale prospettiva, per esempio ed in particolare, non appare giustificativa la circostanza addotta in memoria per cui “la mancata scelta da parte dell’unica risorsa presente nella graduatoria del 2020 della mobilità nazionale per la provincia di Grosseto ha determinato, conformemente a quanto previsto dall’Accordo di mobilità del 21.3.2019, la copertura della posizione disponibile tramite l’attivazione delle altre leve previste dall’Accordo di Politiche Attive del Lavoro del 30.11.2017”.

Infatti, in difetto di ulteriori precisazioni sul punto, anche di tipo temporale, a fronte della specifica deduzioni attorea circa la possibilità di subingresso nella posizione della collega M. P., l’onere di allegazione e dimostrazione del fatto impeditivo al trasferimento della A. alla sede scelta non risulta sufficientemente assolto.

Parimenti, non è dirimente e decisiva in sé la circostanza che la società non abbia proceduto all’attivazione della graduatoria della mobilità nei diversi anni interessati; infatti, a stretto rigore, andando in profondità nell’analisi della fattispecie legale, come interpretata dalla Corte di giustizia, il presupposto del fabbisogno di personale e di carenza di risorse nelle singole sedi territoriali non coincide sic et simpliciter col fatto impeditivo del diritto al trasferimento.

Il quadro normativo sopra delineato impone, infatti, al datore di lavoro l’adozione di “accomodamenti ragionevoli” della sua organizzazione d’impresa, ossia l’adozione anche di modifiche gestionali e adattamenti necessari e appropriati, che, senza imporre un onere sproporzionato o eccessivo, siano comunque idonei a consentire la rimozione dei predetti ostacoli.

In questa prospettiva, va ribadito che la tutela assicurata dalla Direttiva 2000/78/CE, già richiamata, si applica anche al parente che assista il portatore di handicap, come espressamente statuito dalla Corte di Giustizia (sentenza 17 luglio 2008, Coleman C-303/06). Il corollario di tale impostazione sistematica è che, come anticipato, l’istituto del trasferimento ex art. 33, risente dell’evoluzione ordinamentale nella direzione dell’affermazione giuridica pregnante dell’obbligo dell’imprenditore di adozione di azioni positive, in termini non solo negativi, ma anche costruttivi e fattivi.

 

Ciò, ovviamente, vale a connotare diversamente gli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 33, definendo oneri a carico della parte convenuta datoriale ulteriori rispetto alla prospettazione del mero dato numerico, negativo e statico, dell’assenza di posti vacanti in pianta organica.

Tale importante direttrice evolutiva trova ormai plurime affermazioni anche nella giurisprudenza di legittimità sul tema della tutela antidiscriminatoria; di recente, in particolare, con la sentenza n. 6497/2021, la Corte di Cassazione – pronunciandosi sul diverso tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma fornendo una complessiva ricostruzione di sistema certamente di utile portata euristica anche per la presente fattispecie – ha affermato non solo che risulta insufficiente l’allegazione della mera indisponibilità del posto in organico, ma anche che l’onere di allegare e provare l’esatto adempimento grava interamente sul datore di lavoro. La Corte ha a tal fine precisato che non spetta “al lavoratore, o tanto meno al giudice, individuare in giudizio quali potessero essere le possibili modifiche organizzative appropriate e ragionevoli idonee a salvaguardare il posto di lavoro, sovvertendo l’onere probatorio e richiedendo una collaborazione nella individuazione degli accomodamenti possibili”.

Come premesso, l’onere che grava sul datore di lavoro incontra il “limite espresso della sproporzione del costo” e “quello dell’aggettivo che qualifica l’accomodamento come ragionevole”, ma nel caso di specie non vi sono sufficienti e concrete prospettazioni della resistente neppure in questa direzione.

Dunque, il dato formale della scopertura del posto in organico, soprattutto in organizzazioni complesse e di dimensioni come P., non risulta un elemento di per sé sufficiente a soddisfare l’obbligo previsto dall’attuale sistema e ciò anche ricordato che, a differenza delle pubbliche amministrazioni, caratterizzate dalla assoluta rigidità e dal formalismo della precostituzione della pianta organica di ciascun ufficio ex lege (con ogni conseguenza di legge, si pensi all’art. 36 o all’art. 52 del TUPI), diversamente, nell’impiego privato, la pianta organica è il frutto di una scelta datoriale riflesso dell’organizzazione aziendale effettiva, come ben desumibile dal disposto dell’art. 2103 c.c. La Cassazione nell’arresto richiamato ha specificamente negato l’assolutezza del principio di intangibilità dell’organizzazione d’impresa.

Infine, ad abundantiam va notato che P. ha, come detto, essenzialmente affermato che non vi erano posti disponibili nelle sedi prescelte, ma risulta l’esistenza di contratti a tempo determinato, che potrebbero essere stati stipulati per esigenze non assolvibili dal personale in forza, il che è un indicatore dell’ulteriore inadeguatezza dell’impianto probatorio offerto dalla resistente (nella medesima direzione, si è di recente pronunciato questo Tribunale nella sentenza n. 3776/2023).

Per tali ragioni il ricorso deve essere accolto ed occorre accertare e dichiarare che la ricorrente Sig.ra G. A.  ha diritto al trasferimento ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 presso la sede di Grosseto ovvero presso altra sede nella provincia di residenza della Sig.ra G. A., con decorrenza giuridica dalla data di presentazione della prima domanda di trasferimento, col conseguente ordine a S.p.a. P. I. di procedere in tal senso.

Quanto alla richiesta risarcitoria, la stessa risulta accoglibile.

Infatti, una volta accertata l’antigiuridicità e la natura inadempitiva del comportamento di P.  insorge la responsabilità del debitore inadempiente per i danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’azione causativa.

La dipendente ha allegato di avere subito un danno effettivo e materiale, per effetto ed in conseguenza diretta della condotta datoriale. In particolare, la parte ha dedotto di avere, in ragione del mancato trasferimento, subito un danno economico ingiusto conseguente alle necessità di spostamento tra la propria residenza in Grosseto e il luogo di lavoro a Busalla (Genova). In tal senso, la A. ha allegato che “per recarsi nella sede lavorativa dove è stata assegnata, in considerazione dell’effettiva fruizione dei permessi ex l. n. 104/1994 per l’assistenza alla Sig.ra L. C., la Sig.ra G. A. è stata costretta a frequenti spostamenti che, ove il trasferimento le fosse stato immediatamente e correttamente riconosciuto, non si sarebbero resi necessari”.

Pertanto, risulta effettivamente sussistente il nesso causale ed il danno economico subito correlato alla necessità che l’interessata ha avuto di dover sostenere spostamenti tra la sede di lavoro ed il luogo di residenza del soggetto da assistere.

A fini di liquidazione, appare corretto e ragionevole l’assunto sostenuto e, anche in via equitativa, il danno è liquidabile sulla base di un valore di € 80,00 per ogni settimana lavorata sulla base di un calcolo del costo medio dei biglietti ferroviari pari ad € 40,00 a tratta (doc. 11 attoreo), a far data dal 22 aprile 2021, per un totale di 34 settimane, e, dunque, per complessivi € 2.720,00.

Anche tale domanda deve essere quindi accolta.

Tenuto conto dell’esito del giudizio le spese sono poste a carico della parte resistente secondo la liquidazione espressa in dispositivo.

P.Q.M.

accerta e dichiara che la ricorrente Sig.ra G. A. ha diritto al trasferimento ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 presso la sede di Grosseto ovvero presso altra sede nella provincia di residenza della Sig.ra G. A.  con decorrenza giuridica dalla data di presentazione della prima domanda di trasferimento (22.4.2021);

per l’effetto, ordina alla S.p.a. P. I. di procedere al trasferimento della ricorrente Sig.ra G. A.  ex art. 33, comma 5, l. n. 104/1992 presso la sede di Grosseto con decorrenza giuridica dalla data di presentazione della prima domanda di trasferimento ovvero presso altra sede nella provincia di residenza della Sig.ra G. A.;

condanna la S.p.a. P. I. al risarcimento del danno conseguente all’illegittimo diniego del trasferimento della ricorrente liquidato in € 2.720,00;

condanna la parte resistente al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 4.670,00, oltre spese generali nella misura del 15%, iva e cpa, da distrarsi.

Roma, 20/04/2023

Si comunichi

Il Giudice

Dott.ssa Maria Casola

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